Agorà

STORIE. Don Camillo e Peppone? Son nati nel Beaujolais

domenica 5 settembre 2010
Peppone e don Camillo hanno dei "nonni" francesi. Si chiamano Bartolomeo Piéchut e don Agostino Ponosse, e sono, nella finzione letteraria, il sindaco progressista e il parroco di un piccolo paese nelle campagne del Rhône-Alpes. Essendo nati dalla fantasia dello scrittore Gabriel Chevallier prima dei due famosi personaggi del Mondo Piccolo, potrebbero essere (chissà?) gli ispiratori di Giovannino Guareschi. Il dubbio ci sembra legittimo. È lo stesso Guareschi, forse, a metterci sulla giusta strada nell’introduzione a Don Camillo e il suo gregge, quando spiega come sono nati il "pretone" e il "grosso sindaco" protagonisti della saga padana: «Ora, non è che io mi dia arie da creatore, mica dico di averli creati io. Ho dato ad essi una voce. Chi li ha creati è la Bassa. Io li ho incontrati, li ho presi sottobraccio e li ho fatti camminare per l’alfabeto». E se il genio di Fontanelle di Roccabianca fosse stato, dunque, ancora una volta, così schietto da ammettere con queste parole – seppur implicitamente –, non diciamo di averli "copiati", ma di aver incontrato queste due figure in un libro letto da giovane e di esserne rimasto così affascinato da riprenderli, rimodellarli, dare loro un’anima e un corpo padani per buttarli nell’Italietta di allora? I personaggi narrati e scodellati dalla fantasia guareschiana nella Padania degli anni ’50, infatti, trovano un sorprendente corrispettivo letterario a Vaux-en-Beaujolais, un villaggio immerso tra i vigneti su una collina piena di vento, poco lontano da Lione, un posto dove il vino è buono e i bevitori non mancano. Questo è il paesino in cui vivono ancora oggi, grazie a memorie letterarie e museali, il curato Agostino Ponosse, testardo e bonaccione, e il sindaco Bartolomeo Piéchut, sanguigno e vanitoso, divenuto pure lui nella finzione romanzesca, come il suo omologo Giuseppe Bottazzi, un riverito senatore. Il loro creatore si chiamava Gabriel Chevallier (1895-1969), scrittore lionese che scelse Vaux, ribattezzandola Clochemerle, per ambientarci una serie di romanzi che riscossero subito un grande successo in Francia a metà degli anni ’30. Il primo romanzo, intitolato Clochemerle, fu pubblicato nel 1934, quando Guareschi aveva 26 anni. La storia prende le mosse da un vespasiano fatto costruire dal sindaco in mezzo alla piazza del borgo, davanti alla chiesa. Ne nasce una disputa, piena di imprevedibili e divertenti gag, che divide il paese in due fazioni: chi è favore del vespasiano e chi no. Per il prete e i suoi devoti parrocchiani, guidati da un manipolo di pie donne, è una sconcezza da spostare altrove; per il sindaco e gli altri clochemerlini, ben più propensi a riconoscere anche in pubblico le conseguenze delle loro abbondanti libagioni, è una necessità, un servizio alla cittadinanza, da utilizzare anche la domenica, giorno di messa solenne. Ecco, allora, che il reverendo tuona dal pulpito e il sindaco esercita dai luoghi civici deputati le sue virtù di ammaliatore del popolo. Nel secondo romanzo, Babilonia, edito nel 1935, le vicende dei due antagonisti lasciano il posto all’arrivo della modernità, compresa quella dei costumi sessuali, con tutti gli sconquassi, gli equivoci e gli eccessi di cui è foriero il progresso quando si affaccia in quell’angusto mondo. Vi si narra, con l’identica verve e l’ironia del precedente, soprattutto dei «peccatori di provincia travolti dall’adulterio e dallo scandalo». I due romanzi uscirono in Italia negli anni ’70, per i tipi della Longanesi, con i titoli rispettivamente di Peccatori di provincia e Babilonia. Ma anche Mursia pubblicò, nel 1964, il primo romanzo di Chevallier col titolo Cosa succede a Clochemerle?Tutti libri ormai fuori commercio, quasi introvabili anche sulle bancarelle dell’usato. E se Guareschi li avesse letti nell’edizione francese? Oppure qualcuno, negli ambienti culturali che frequentava, gliene avesse parlato? Quando uscì il libro in Francia, però, Guareschi faceva il servizio militare a Potenza. Ma aveva conosciuto Cesare Zavattini a Parma nel 1922 e i loro rapporti proseguirono, intensi, anche in seguito. In ogni caso, le analogie tra le due saghe sono a dir poco sorprendenti. E non solo. Di Clochemerle, per esempio, come per le storie dello Strapaese guareschiano, esistono versioni cinematografiche e sceneggiati televisivi. Il primo film fu girato nel 1948 dal regista Pierre Chenal ed è un fedele adattamento del primo romanzo (lo stesso Chevallier partecipò alla sceneggiatura): Clochemerle fu il grande successo di quell’anno nelle sale francesi. Ispirato a un personaggio di Babilonia, e al paesino dove il romanzo è ambientato, anche il film di Jean Boyer Le Choumer de Clochemerle, del 1957, con protagonista proprio Fernandel, nei panni del disoccupato Baptiste Lachaud, detto Tistin. L’attore marsigliese aveva esordito come Don Camillo per la prima volta nel 1952, sotto la regia di Julien Duvivier (lo stesso che lo ha diretto ne Il ritorno di don Camillo, del 1953). Il film francese, dunque, è successivo a quello italiano. Per la tv, il film Clochemerle porta la firma di Daniel Losset ed è stato prodotto nel 2003. Vaux-en-Beaujolais, oggi, rappresenta l’equivalente della nostra Brescello, il luogo cinematografico di Peppone e don Camillo, il set che si trasforma in un mito. Nel piccolo villaggio francese ci si può immergere, come nel borgo sulle rive del Po, in allegre memorie letterarie. Alla Cave de Clochemerle è allestito un museo su Gabriel Chevallier (tel. 0033/474032658) con un teatrino di pupazzi animati, locandine dei film, documenti e altre curiosità sul curato Ponosse, il sindaco Piéchut, Tistin, la procace locandiera Adele Torbayon, la cattolicissima baronessa Alfonsina de Courtebiche e le altre strambe figure che popolano Clochemerle. E per entrare ancora di più nel clima del romanzo e nella cultura contadina del luogo, potete ordinare al banco del bistrot, nella casa-museo, un bicchierino di rosso Beaujolais. Ma badate bene: l’orinatoio in ferro battuto che si erge al centro della piazzetta è una perfetta ricostruzione di quello immaginato nel romanzo da Chevallier, oggetto di tante dispute raccontate con sagace umorismo.