Agorà

PENSARE CON I PIEDI. Juve furibonda, furia Napoli e il furetto Icardi

Massimiliano Castellani lunedì 28 gennaio 2013
Dal “sabato furioso”, da indietro tutta, di Juve e Lazio, alla domenica di un Napoli trascinante e trascinato al successo dall’onda anomala azzurra: 6mila tifosi al seguito al Tardini di Parma, scene ed emozioni che rimandano all’ “era Maradona”. Ricapitolando: la Juve inciampa nel pareggio interno con il Genoa del Ballardini di ritorno. Uno di quei risultati che ad Antonio Conte tolgono il sonno e che di solito considera «una mezza sconfitta». L’1-1, con l’incerto e disperato Grifone, al 94’, complice un fallo di mano del genoano Granqvist, sulla cui involontarietà è stato chiesto il parere di Uefa, Fifa e forse anche dell’Onu, si trasforma nella catarsi contiana. Il rigore non fischiato dall’arbitro Guida, fa saltare il sistema nervoso dell’allenatore salentino, probabilmente già fortemente minato dai 4 mesi di esilio forzato (vedi alla voce Scommessopoli) in tribuna. Una reazione estremamente scomposta (seguita naturalmente da tutta la squadra juventina), contro una «decisione vergognosa», quella dell’arbitro,  ma a noi di vergognoso (che sia rigore o meno: più meno) c’è sembrato tutto il contesto nevroromantico e la scenata verbalmente violenta che a tutt’ora non ha sortito le legittime scuse da parte del tecnico bianconero e della società del presidente Andrea Agnelli. Più scusabile invece la battuta d’arresto della Lazio che sbatte contro il muro eretto dal piccolo-grande Chievo di Corini che compie il blitz, con il 7° sigillo stagionale di Paloschi. Petkovic forse eccede con il turnover, cade alla diciassettesima e non eguaglia il record delle sette vittorie di fila all’Olimpico (primato che resta a Dino Zoff). Ora la Juve è a 6 lunghezze di distanza, ma la Lazio già domani sera potrebbe togliersi lo sfizio di eliminare i bianconeri dalla Coppa Italia. Alla banda Petkovic basta anche lo 0-0 (si parte dall’1-1 dello Juventus Stadium) per staccare il biglietto della finale dell’Olimpico contro la vincente (bisognerà aspettare aprile) di Inter e Roma. Di queste due ci occupiamo tra un attimo, prima riflettori puntati sul Napoli di Mazzarri. La mini corazzata partenopea ha 15 punti più dell’anno scorso e grazie alla premiata ditta Hamsik-Cavani, toglie al Parma l’imbattibilità casalinga e vola a meno 3 dalla vetta. Dicono che la Juve con l’acquisto del mercenario Anelka (il suo “socio” in Cina, Drogba, all’Italia ha preferito i 10 milioni di euro netti del Galatasaray) possieda una rosa più completa di quella del Napoli, ma attenzione: gli arrivi di Armero e di un attaccante esperto come Calaiò (a rinforzo di Pandev e Insigne) sono innesti che possono garantire a Mazzarri uno sprint finale con traguardo volante a sorpresa. Sorprende intanto l’involuzione dell’Inter, che è sì a soli tre punti dalla zona Champions, ma basta un Torino generoso e pimpante per inchiodarla al palo. Poche luci a San Siro e molte ombre sulla formazione di “Stramourinho” Stramaccioni, la quale non gioca né da provinciale, né da grande, e per rispondere ai colpi degli umili granata di Ventura si deve aggrappare ancora alle quasi 40 primavere di capitan Zanetti (suo l’assist all’altro senatore Cambiasso per il gol del definitivo 2-2). La Fiorentina è in caduta libera, un solo punto nel 2013, contro i 10 su 12 conquistati dal Catania argentino di Maran che anche in formazione rimaneggiata è in grado di battere i viola dell’ex Montella che sconsolato ammette: «Da quando sono nel calcio mai vissuto un periodo così negativo. Ma finirà presto…». Glielo auguriamo, così come auguriamo al vecchio Zdenek Zeman di restare al suo posto sulla panchina della Roma e di non subire l’ennesimo esonero (Malesani è già pronto a subentrare) di una carriera vissuta sempre sul filo del rasoio. Le esternazioni del boemo alla vigilia del match di Bologna, terminato con un ennesimo pirotecnico over, 3-3 («Alla Roma non ci sono regole e dove manca la disciplina non ci può essere una squadra vera»), alla dirigenza giallorossa hanno dato molto fastidio. Il solito Zeman, da uno contro tutti, persino contro i suoi, ai quali rimprovera scarso impegno e poca duttilità ad apprendere schemi e movimenti, ma è anche vero che da trent’anni in qua le sue squadre giocano sempre alla stessa maniera: spettacolari quanto si vuole, ma “senza difesa”. Si difende bene invece il Milan di Allegri che continua la scalata alla zona Champions, grazie anche alla perla di El Shaarawy (sono 15, tre reti sotto Cavani) che  aspetta di sapere se farà coppia con l’amico Mario Balotelli, già compagno nella Nazionale multietnica di Prandelli. E nel gruppo azzurro potrebbe entrare - noi ne saremmo felici – il giovane bomber doriano Icardi. Contro il Pescara firma 4 dei sei gol della Samp (orfana per sempre del suo presidente Riccardo Garrone) ma ora Icardi è a un bivio amletico: giocare per l’Argentina o per l’Italia? Il suo nome è Mauro, come Camoranesi, un altro italiano d’Argentina che alla fine scelse l’azzurro alla Seleccion e vinse anche un Mondiale nel 2006. Quindi caro Maurito Icardi, perché non emularlo?