Agorà

L'anticipazione. La nuova Babele dei diritti distorti

PIER GIORGIO LIVERANI mercoledì 3 febbraio 2016
Qualcuno ha sostenuto che «un diritto non è mai un pericolo»: possiamo aggiungere per l’altro o per sé stessi. Se i diritti fossero sempre e davvero sicurezza, non ci sarebbero alcun dubbio e alcun timore: gli autentici diritti preesistono all’uomo e ne sono la principale garanzia di vita, di dignità, di libertà e di rispetto. Da quando è arrivato a un sufficiente livello di civiltà, l’uomo nasce in una culla di garanzie giuridiche predisposte, si può dire, dalla sua stessa natura. Oggi il pericolo risiede nei falsi diritti, quelli artificiali, figli delle crisi morali, di quelle politiche e delle ideologie.  Quei princìpi del bene e del male poi scolpiti nella pietra delle «dieci parole» (i Comandamenti) sono diventati, di fatto e storicamente, anche le basi della morale naturale comune e condivisa e le radici dei diritti «umani». Sono, per esempio, i diritti alla vita, cioè di nascere e di non essere uccisi prima di venire alla luce e durante tutta la vita, fino alla morte naturale; i diritti alla famiglia; a essere libero nell’esprimersi come persona e, quanto ai diritti, «uguale» a tutti gli altri esseri umani. Dunque tutti hanno diritto anche alla proprietà dei beni essenziali, al lavoro, ad avere una nazionalità e una cittadinanza e a muoversi liberamente, alla libertà, alla propria fede e via dicendo. Questi diritti appartengono al patrimonio naturale di ogni popolo e di ogni persona.  Anche se talvolta queste concezioni sono passate attraverso molte traversie (si pensi alla schiavitù, che però – indirettamente e a contrariis – ha confermato l’uguaglianza e la dignità di ogni essere umano), esse sono state sempre vissute, quando mancavano, anche come «bisogni», come sogni (l’« I have a dream », io ho un sogno, di Martin Luther King), come aspirazioni, tanto forti da avere spinto un gran numero di uomini a morire per conquistarli per sé e per gli altri quando erano loro negati. E senza, necessariamente, il bisogno che fossero scritti da qualche autorità civile. La loro recente codificazione è avvenuta affinché nessuno potesse negarli impunemente.  Colui che li nega è da sempre considerato un oppressore, un tiranno. Per questi motivi i diritti sono considerati «costitutivi » della persona e, al tempo stesso, da questa scaturiscono sin dal principio della sua esistenza. Per ciò si parla di diritti «dell’uomo» o «naturali». Non hanno, infatti, bisogno di un aggettivo qualificativo: quando li si definisce «umani» è soltanto per rendere più evidente la loro natura e inviolabilità e per mostrarne la caratteristica di pilastri della società civile. Ai diritti autentici corrisponde un dovere di tutti: soprattutto quello di riconoscerli e rispettarli. E, per lo Stato, quello di garantirli a tutti e di punire chi li viola. La loro codificazione è avvenuta affinché nessuno possa negarli o ignorarli. La recente qualificazione di «civili», invece, è stata da taluni ritenuta necessaria per tentare di scansare a priori il rischio di essere riconosciuti come falsi, per equiparare i diritti artificiali a quelli umani e per farli accettare dalla stessa società, nonostante che essi ne siano, invece, la palese contraddizione e attentino alla sua esistenza. Lo sostiene indirettamente anche un assai noto filosofo americano del diritto «laico» e ateo come Ronald Dworkin, morto al principio del 2013. «Diritto e morale – ha scritto – non sono universi separati, ma vi è, al contrario, tra essi, un legame imprescindibile». Se, l’uno dopo l’altro, sorgono pretesi «diritti civili» che si oppongono o che minano i pilastri del diritto naturale (per esempio il «diritto di aborto»), quelli non sono diritti: ne sono un abuso, una distorsione e possiamo chiamarli «distorti». Si riconoscono subito per l’aggettivo «civili» che li accompagna quasi inevitabilmente e per la definizione che l’ideologia radicale, da cui sono stati concepiti e partoriti, dà a essi di strumenti e di effetti del progresso, per fondarne sempre di nuovi. Tra i più recenti è, per esempio, il «diritto di morire». Questi «distorti», che arrivano sempre a formulazioni egoistiche, libertarie e libertine, diventano addirittura, di fatto, istituzione di princìpi delittuosi o assurdità, negazione della logica come l’aborto, l’eutanasia, le pratiche eugenetiche nella fecondazione artificiale, il «matrimonio » tra persone del medesimo sesso. Dalla risposta, cioè dalla scelta che la maggioranza degli Italiani farà tra i diritti autentici e quelli posticci – che sono illusoria traduzione in linguaggio solo apparentemente civile di semplici desideri – dipendono, ormai, il presente e il futuro non soltanto dell’Italia, ma anche dell’Europa e infine del pianeta, poiché la logica del mondo ormai globalizzato oggi sempre più si basa su questi falsi diritti e sembra, ogni giorno di più, averne fame di nuovi. Proprio per questo occorre distinguere i «diritti» dai «distorti».  I «diritti dell’uomo», infatti, quelli fondamentali che riguardano direttamente la persona e che, non per nulla, si chiamano anche «diritti umani», costituiscono le fondamenta della società, della libertà, della dignità della persona, della democrazia e della pace. Sono quelli di cui si occupa la Costituzione in quanto carta fondamentale dello status del cittadino. Essi ci rendono la vita, per quanto è possibile, garantita, sicura e tranquilla, piacevole, pacifica.