Agorà

Intervista. Di Natale, l’ultimo gol è il prossimo

Dario Pelizzari lunedì 1 giugno 2015
Oggi a Cagliari non ci sarà, per colpa di un guaio fisico che gli ha impedito di allenarsi per tutta la settimana. Ma la stagione di Totò resta splendida: a 37 anni non è poco totalizzare 33 presenze su 36, e infilare ancora 14 gol. Il primo arrivò al minuto 59 di Como-Empoli. Era il 14 settembre del 2002, la tappa numero uno della sua carriera nella Serie A. L’ultimo a Verona, il 3 maggio scorso, 13 anni più tardi. Nel mezzo, 204 sussulti che hanno consentito ad Antonio Di Natale di entrare di diritto nella storia dei migliori marcatori di sempre del massimo campionato di casa nostra. Campione vero. Bandiera senza tempo dell’Udinese, che aspetta e spera di vederlo ancora al Friuli nella prossima stagione. Un traguardo, a giudicare dalle ultime voci che arrivano dal quartier generale bianconero, tutt’altro che impossibile. Con la rete segnata contro il Verona ha superato Roberto Baggio, suo grande amico ed estimatore. Tra voi, sono molti i punti in comune, fuori e dentro il campo. Conferma?«È stato un grande campione e averlo superato per me è un onore. Forse siamo simili nella vita privata visto che entrambi non amiamo essere sotto i riflettori».Il prossimo traguardo è a quota 216 gol. Vuole raggiungerlo, oppure crede che sia arrivato il momento di dedicarsi ad altri progetti? Il presidente dell’Udinese, Pozzo, dice sempre: meglio Di Natale di Zico, e sarebbe felice di ritrovarla a settembre in maglia bianconera...«Con il presidente siamo d’accordo di vederci. Io ragiono giorno per giorno. Prima chiudo il campionato, poi vado in vacanza e mi dedico alla mia famiglia. Quando avrò deciso il mio futuro, lo comunicherò al club».In occasione del sorpasso su Baggio, il Friuli le ha riservato una festa senza precedenti. Il legame tra lei e Udine è sempre stato fortissimo. Come lo spiega? Tutto merito dei suoi gol? «Io ho sempre dato tutto per questa maglia, i tifosi guardano a questo più che ai gol. Certo aver segnato tanto sicuramente è stato importante però credo che il popolo friulano sia affezionato a me perché ho sempre dimostrato attaccamento alla maglia e grande rispetto per la tifoseria e per questa terra». Il suo tecnico, Andrea Stramaccioni, ha detto che l’ha convinta a capire che "può essere decisivo in più modi". Quanto è stato difficile per lei accettare la panchina?«Alla mia età è normale che non si possa giocare sempre titolari. Certamente fa piacere giocare ma si accettano le decisioni dell’allenatore. Il calcio è così. Quando ero giovane anch’io vedevo miei compagni che dopo una certa età venivano gestiti in maniera intelligente. Oggi succede a me e non è un problema».Di Natale, Toni, Totti, Klose. Gli Over 35 della Serie A dimostrano a suon di gol di fare ancora la differenza. Ma è un buon segnale per il calcio italiano?«Certo non lo è. Ma questo non vuol dire che non ci siano giovani interessanti. Due esempi su tutti, Zaza e Berardi. Sono italiani, sono bravi e sanno fare gol. Poi El Shaarawy, che è rientrato e ha segnato subito due reti. Ci sono le basi per avere dei buoni bomber». Lei è uno dei più grandi attaccanti del calcio italiano, eppure non ha mai vinto né uno scudetto né un titolo internazionale. Rimpianti?«No, perché ho vinto due classifiche dei cannonieri giocando nell’Udinese e con la mia squadra ho centrato qualificazioni europee a danno di grandi club. Sono soddisfazioni che equivalgono a vincere scudetti e titoli più prestigiosi, perché fare risultati a Udine è certamente più difficile che in piazze metropolitane più ricche. Inoltre non posso aver rimpianti o rimorsi perché la mia carriera è stata tutta frutto delle scelte che ho fatto. Ho avuto occasione di andare a giocare in altri club ma ho deciso io di restare a Udine. Quindi nessun rimpianto».Nel 2010 ha detto no alla Juventus. L’ha fatto per se stesso, per la sua famiglia o per l’Udinese?«Tutte le componenti hanno avuto il loro peso. Sono sempre stato bene a Udine e non mi andava di lasciare questa squadra e questa città. La mia famiglia qui sta molto bene e questo ha influito certamente non poco». Undici reti in 42 presenze. Dicono che con la maglia della Nazionale avrebbe potuto fare di più...«Sì, forse avrei potuto fare di più ma negli anni in cui potevo essere più presente avevo la concorrenza di altri campioni molto forti. Il rammarico è non essere entrato nel gruppo di Lippi campione del mondo in Germania. Ma anche con la Nazionale mi sono tolto qualche soddisfazione, per esempio il gol alla Spagna agli europei resta uno dei ricordi più belli della mia carriera».Quale consiglio si sentirebbe di dare ai giovani che vorrebbero fare una carriera come la sua?«Credere in se stessi e in quello che si sta facendo. Serve il talento, ma da solo non basta. Oggi il calcio richiede una grande capacità di essere professionisti e professionali in campo e fuori. Poi c’è la fortuna che ha la sua componente. Ma è importante crederci sempre, lavorare duro e ascoltare i consigli di chi ha esperienza».Arrigo Sacchi sostiene che ci sono troppi stranieri nel nostro campionato. Condivide? «Credo che il problema non sia questo, perché ormai le frontiere sono aperte e i calciatori circolano con grande facilità. Il problema è il lavoro nei settori giovanili in cui in Italia si crede poco. Bisogna lavorare sui nostri giovani, perché poi se un italiano è bravo il posto in squadra lo trova. Se i nostri giovani giocano poco e hanno difficoltà ad emergere è perché spesso non sono pronti».Da anni investe denaro e passione nell’associazione dilettantistica "Donatello calcio", che ha già consegnato al calcio professionistico giocatori come Scuffet, Padoin, Crisetig e Petagna. Quali sono gli obiettivi di questo progetto? «L’obiettivo è di mettere i bambini e i ragazzi nelle condizioni di fare sport seguiti da persone qualificate in strutture adeguate e dare loro soprattutto la possibilità di divertirsi. È chiaro che poi teniamo d’occhio quelli che promettono di più in modo da favorire una loro crescita e lanciarli nel calcio professionistico come è avvenuto per alcuni».Di Natale ha già il suo erede. Si chiama Filippo ed è suo figlio. Gioca negli Esordienti dell’Udinese e tanto per non mettersi di traverso alla tradizione fa l’attaccante. Si arrabbierà se non dovesse arrivare al grande calcio?«Mio figlio deve pensare ora solo a divertirsi e deve studiare. Se vorrà fare il calciatore e ci riuscirà sarò contento. Certamente mi piacerebbe, ma ai miei figli auguro di realizzare i loro sogni, non i miei». C’è già chi in futuro prefigura per lei un posto sulla panchina dell’Udinese...«Sono un calciatore e ragiono ancora da calciatore. In futuro vedremo».