Agorà

L'AIART DENUNCIA. «Vuoto e repliche: la tivù d'estate snobba il pubblico»

Alessandro Beltrami mercoledì 11 agosto 2010
«Sa quanti sono i dipendenti a tempo indeterminato della Rai? Tredicimila e cento. Di cui duemila giornalisti. E le pare possibile che a luglio e agosto a Viale Mazzini si esponga il cartello chiuso per ferie?». Luca Borgomeo, presidente dell’Aiart, l’associazione dei telespettatori cattolici, lancia un sos per la Rai, che puntualmente «da fine maggio a settembre sullo schermo propone quasi soltanto scampoli e repliche, se non addirittura fondi di magazzino. O peggio quegli autentici programmi imbroglio che sono i premi e le serate che imperversano su Raiuno».Perché non è giusto che la Rai in estate vada in vacanza?Perché i cittadini pagano il canone per dodici mesi, e non per otto o nove. Perché così facendo abdica al suo status di servizio pubblico. Va in ferie anche la tv commerciale? Ma questa risponde solo a logiche economiche e di fatturato. La Rai non può, per statuto. La responsabilità sociale non va in vacanza. Ma c’è di più.Prego...Il problema è istituzionale e insieme economico. Come Aiart lo segnaliamo da tempo. Durante l’estate la Rai sembra incapace di produrre nuovi programmi. Ma viste la quantità e la preparazione del personale è un fatto inammissibile. Un comportamento anomalo per una grande azienda, legato al cattivo utilizzo delle risorse. Quanti sono i dirigenti messi in letargo, promossi per essere rimossi a ogni cambio politico? Uno spreco di professionalità e di denaro pubblico, una vergogna in questa Italia affamata di lavoro.Ricevete molte segnalazioni in merito?Costantemente, a centinaia e per tutta l’estate. Perché l’Italia non si spegne a maggio e si riaccende a settembre. Ha notato come i talk show, da Porta a porta a Ballarò si sospendano per tre mesi giorni? L’ottica della Rai sull’informazione è molto piccolo borghese, come quando con l’arrivo del caldo si andava tutti in villeggiatura. Ma sono decenni che in Italia non è più così. Soprattutto in questi ultimi tempi di crisi, in cui sono tanti gli italiani che hanno rinunciato alle ferie, senza dimenticare gli anziani, per i quali la tv in questi mesi diventa drammaticamente la sola compagna. Si chiude quando c’è maggiore necessità. Eppure anche la società e la politica non si fermano: lo dimostrano i fatti di queste settimane. Passi una breve sosta ad agosto. E invece assistiamo a novanta giorni di volo di notte.Le sembra ci sia stato un peggioramento negli ultimi anni?Certamente. La Rai è venuta meno nella volontà di vincere la concorrenza. Parlare di duopolio in tv è ormai una barzelletta. Esiste sul piano formale ma non su quello sostanziale. Da azienda a azienda passano non solo gli artisti ma anche i dirigenti. E questo appesantisce la Rai, che diventa più disponibile a scendere a una tv di serie B. Il degrado è continuo, la programmazione è scaduta, i conti precipitano, la qualità dell’informazione è in declino, il prestigio scompare. In tutto questo il peso della politicizzazione della Rai è sempre più devastante.Cosa possono fare gli utenti per reagire a questa situazione?A tutti diciamo che è possibile non pagare il canone facendosi imballare il tv e compilando un modulo di rinuncia al servizio. Sul nostro sito ci sono tutte le informazioni. Ma il problema è un altro: la mancanza una cultura nazionale dell’utente. Se uno fa il parallelo tra la situazione italiana e quella in Francia, Germania o Stati Uniti, il risultato è umiliante. Infine, da noi vige la dittatura dell’auditel. Un sistema assurto a divinità. Con un problema: spacciato come indicatore degli ascolti e, con un ulteriore salto logico, anche di gradimento, può invece soltanto rivelare quanti sono i televisori accesi. C’è una bella differenza. E soprattutto non può esistere che da una società privata (Auditel è 33% Rai, 33% reti private nazionali e locali, 33% di aziende che investono in pubblicità più 1% della Federazione Italiana Editori Giornali - N.d.R.) dipenda la programmazione della tv pubblica».