Agorà

Dibattito. Salvare la democrazia dai nuovi imbonitori

Dario Antiseri, Enzo Di Nuoscio e Flavio Felice giovedì 18 ottobre 2018

Si intitola “Democrazia avvelenata” il libro degli studiosi Dario Antiseri, Enzo Di Nuoscio e Flavio Felice. Il volume (pagine 200, euro 13,00) edito da Rubbettino all’interno della collana “La Politica”, diretta proprio dal filosofo Antiseri, affronta i “mali” della democrazia contemporanea e suggerisce dei percorsi con cui affrontare le sfide dei tempi incerti che viviamo e garantire alla “democrazia dei cittafini” nuove possibilità e un futuro. Anticipiamo l’introduzione al testo.

Le democrazie dei nostri tempi non godono di buona salute. L’indebolimento della politica rispetto ai grandi poteri economici; lo svilimento dei partiti politici, giustamente non più sorgenti di verità, ma spesso incapaci di avanzare soluzioni adeguate ai problemi e sempre più ridotti a meri comitati elettorali; la mediatizzazione della politica; il costante contatto (di fatto unilaterale) dei leader con l’opinione pubblica, che orienta le scelte politiche al consenso più immediato; la frammentazione dei bisogni e degli interessi da un lato e dall’altro l’atrofizzazione dei «corpi intermedi», sempre meno in grado di trasformarli in domanda politica; la difficoltà dei cittadini di formarsi un’opinione su scelte sempre più complesse, che vengono loro sottoposte, per le quali spesso è arduo calcolare anche le più immediate conseguenze; il costante aumento delle aspettative dell’homo democraticus, le quali devono pero fare i conti con una crescita del benessere inevitabilmente lenta delle economie mature; uno spaesamento complessivo dell’uomo contemporaneo per pratiche sociali che cambiano freneticamente, facendo venir meno tradizionali criteri di orientamento per la vita delle persone; scambi economici e processi comunicativi sempre più veloci e i tempi sempre più affrettati e impazienti dell’homo tecnologicus si scontrano con decisioni politiche necessariamente lente in società altamente complesse; una decennale crisi economica che ha diffuso un forte senso di precarietà e che ha distrutto la convinzione, che ha accompagnato le società occidentali nel secondo dopoguerra, secondi cui le nuove generazioni potessero vivere meglio di quelle dei loro padri; le difficoltà create da fenomeni migratori, in gran parte incontrollati, e la paura generata dalle numerose tragedie della follia terroristica.

Tutto ciò alimenta una crescente insoddisfazione dell’uomo democratico verso la società in cui vive e quindi nei confronti delle istituzioni del governo rappresentativo. Ecco, queste sono alcune delle difficoltà che sfidano la democrazia in questo inizio di terzo millennio. E oggi sembra profilarsi un nuovo spettro: diventare la «democrazia del pubblico » – di un pubblico ridotto a cliente passivo di abili imbonitori. Assistiamo tutti i giorni a un confronto politico sempre meno concentrato sull’analisi della realtà e sulla progettazione del futuro e sempre più orientato alla ricerca del consenso immediato, attraverso sofisticate strategie comunicative e l’annuncio di promesse risolutive, a portata di mano. È così che i cittadini vengono trattati come «pubblico», il quale con i nuovi media rischia di diventare sempre più passivo, acritico, influenzabile, con scarse possibilità di controllare le informazioni, senza occasioni di confronto critico, piuttosto istintivo nei giudizi e quindi con basse difese immunitarie per difendersi dalle tante forme di manipolazione e da populisti – altrettanti “masanielli” –, sempre in agguato, soprattutto nei momenti di crisi. Nessuno può prevedere se e in che modo la democrazia occidentale supererà queste sfide; se nei prossimi decenni le nostre liberaldemocrazie cadranno in una grave crisi o se invece diventeranno più mature perché sapranno fare i conti con la società dell’incertezza, della competizione globale e dei nuovi media. Se cioè sapranno mostrare anche in questa fase storica, quella forza evolutiva che nel secondo dopoguerra ha permesso ad esse di consolidarsi grazie alla loro capacità di affrontare tutto l’ampio spettro delle «questioni sociali» (istruzione, povertà, lavoro, sanità, ecc.).

Se è impossibile prevedere come andrà a finire questa sfida, sappiamo però che il suo esito sarà certamente condizionato dagli anticorpi che avrà l’homo democraticus, dalla sua saggezza umanistica, che magari lo convincerà a essere perennemente impegnato a combattere i vecchi e nuovi nemici delle istituzioni democratiche, perché convinto, come faceva osservare Gaetano Salvemini che, non potendo realizzare il paradiso, «in questo mondo la nostra libertà di scelta è assai più limitata: possiamo scegliere solo tra il purgatorio e l’inferno. La democrazia è il purgatorio. Ma la dittatura è l’inferno». Da qui, il conseguente ammonimento di Salvemini: «Sforzatevi di migliorare il purgatorio della vostra democrazia, ma badate a non cadere nell’inferno della dittatura». Raccogliendo l’amaro monito di Salvemini, questo volume propone una difesa filosofica, storica, sociologica ed economica della democrazia, intesa come «società aperta» fondata sulla discussione critica, che trova le sue origini, sostanzialmente e prima di ogni altra fonte, nella filosofia greca e nella tradizione cristiana. Come diceva Salvador De Madariaga, «l’Europa è socratica nella sua mente e cristiana nella volontà». D’altra parte, resta vero che «se la libertà va perduta, tra non liberi non ci sarà nemmeno l’uguaglianza », è anche vero – come sostiene Karl Popper – che «la libertà non possa essere conservata senza migliorare la giustizia distributiva, vale a dire senza aumentare l’uguaglianza economica».

In conclusione, per far fronte alle minacce del terzo millennio, è questa la tesi degli autori, le democrazie occidentali hanno bisogno di una articolazione poliarchica, di istituzioni inclusive, di Stati in grado di regolare i processi economici e di garantire le libertà dai vecchi e nuovi nemici e i diritti sociali dalle vecchie e nuove ingiustizie. E deve inoltre offrire al cittadino democratico, soprattutto attraverso gli studi umanistici, quella capacità critica e quella autonomia di giudizio che rappresentano gli anticorpi necessari che consentono al “ demos” di non essere derubricato a “pubblico” e alla “democrazia dei cittadini” di trovare nuove possibilità, più libertà e più giustizia nel mondo globalizzato.