Agorà

Debutto. Ale e Franz, poeti matti sorridono dell’umanità con tocco leggero

UMBERTO FOLENA giovedì 26 novembre 2015
Che cosa ci fa quella luna enorme, sotto la quale uomini come esili ombre sghembe sussurrano e implorano, chiedono e non hanno risposta? E quell’albero nudo con un’unica foglia appesa con fragilissima tenacia? Che cosa ci fanno dentro uno spettacolo comico di due comici, Ale e Franz? Alessandro Besentini e Francesco Villa tornano in scena al Nuovo (fino al 6 dicembre) e poi a zonzo in altri 26 teatri enormi e piccoli, da Roma a Concorezzo, da Firenze a Cividale, e perfino nella svizzera Bellinzona fino al 19 marzo. Tanti lati – latitanti, con la regia di un vecchio compagno di palcoscenico come Alberto Ferrari, recupera e perfeziona sketch collaudati e ne confeziona almeno due nuovi. I Lavori in corso cominciati due anni fa sono finiti e questo è uno spettacolo compiuto, anche se hai il sospetto che mai avremo due serate identiche perché alla tentazione dell’improvvisazione i due non sanno resistere. C’è l’appuntamento galante a cui l’antica fidanzata Maria si presenta come Mario con disarmante semplicità. Ci sono i due vecchi compagni Fidel e Palmiro, il primo fedele di nome e di fatto al comunismo, il secondo revisionista fino alla capriola, il primo candido e ingenuo, il secondo disincantato e cinico... senonché è la rielaborazione di un vecchio sketch di Walter Chiari, roba di mezzo secolo fa. Ci sono i vecchietti sempreverdi. Ma ci sono anche sant’Antonio e san Michele, con Franz statua parlante in dialogo con Ale goffo scassinatore di cassette delle offerte. C’è la consueta umanità imperfetta ma proprio per questo da amare, marchio di fabbrica di Ale e Franz. Ma poi ci sono anche i dialoghi alla luna a cucire il tutto. E c’è Alda Merini che compare sullo schermo, alla fine, icona della poesia dei cosiddetti matti, che trovano normale cercare di afferrare la luna perché è là che volano i loro pensieri e desideri, verso l’alto, non verso il basso e facilmente raggiungibile. E forse, nel loro balzo verso lassù, finiscono sospesi tra terra e luna, né qui né là. I lavori in corso sembrano davvero finiti. Sei anni fa Ale e Franz incontrarono due dottoresse dell’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini, Teresa Melorio ed Enza Baccei. In un cestino dei rifiuti e in un pacchetto di sigarette avevano trovato i pensieri smozzicati, ma così lucidi e belli, dei pazienti. Pensieri così lucidi, nella loro “follia”, da sfuggire ai “normali”. I pensieri dei “dialoghi alla luna” che tengono unito lo spettacolo. Nel quale finalmente Ale e Franz riescono a contenere l’umanità tutta in tutti i suoi lati inafferrabili, latitanti appunto. Si ride, eccome se si ride. Si ride di gusto. Sfidano, i nostri, perfino il tema arduo del “transito sessuale” uscendone indenni, in virtù del loro tocco leggero per cui di tutti si sorride senza che nessuno possa offendersi. Si fa anche del sano catechismo (merito di Franz?) con due santi indubbiamente misericordiosi, prossimi alla divinità, ma anche sanguigni e umani.  Alla fine Ale e Franz incassano la loro robusta razione di applausi e la luna finta sul palcoscenico viene ammainata. Ma fuori, quella vera che vagabonda sulle guglie del Duomo è lì tonda e grassa. E ti vien voglia di afferrarla davvero: i “matti” sono contagiosi.