Agorà

Venezia. Danzando il Vangelo di Matteo

Pierachille Dolfini mercoledì 2 luglio 2014
«Tutto parte dall’Annuncio dell’Angelo a Maria. Poi la nascita di Gesù e la vista dei Magi, evocata dalle merlettaie attraverso la cerimonia del dono. Il battesimo nel Giordano è un quadro con quattro interpreti: l’acqua scorre sui loro corpi per raccontare l’aderenza totale dell’uomo alla fede. Per evocare l’ingresso in Gerusalemme nove donne di tutte le età stendono i loro panni. L’Ultima cena e la Crocifissione culminano nel momento della Resurrezione, raccontata da undici bambini che danzano con i loro movimenti liberi, irregolari, gioiosi». È il Vangelo secondo Matteo nell’interpretazione di Virgilio Sieni. Il coreografo fiorentino, direttore del settore danza della Biennale di Venezia, racconta come ha tradotto in danza il racconto evangelico di Matteo. Testo che ha ispirato Johann Sebastian Bach e Pier Paolo Pasolini e che Sieni ha scelto come Progetto speciale di Biennale College per chiudere l’edizione 2014 della rassegna lagunare. Ventisette quadri che saranno proposti in tre cicli di nove quadri ciascuno che andranno in scena nei primi tre fine settimana di luglio. Si inizia venerdì 4 per un percorso che il coreografo definisce «una narrazione che procede per suggestioni».Cosa intende, Sieni? Cosa vedrà il pubblico che verrà a Venezia?«Vedrà una comunità, 163 interpreti tra danzatori, anziani, bambini, non vedenti, artigiani, madri, padri e figli. In scena non c’è un danzatore che impersona Cristo e altri che fanno gli apostoli, ma Cristo si fa presente di volta in volta nei personaggi che rivivono le sue vicende. I nove blocchi che costituiscono i tre segmenti del Vangelo andranno in scena contemporaneamente al Teatro delle Tese: il pubblico sarà libero di girare e assistere agli episodi che non saranno per forza in ordine cronologico. Si potrà rivedere più volte lo stesso quadro e potrà capitare che una coreografia rivista alla fine del percorso sii illumini di nuovi significati alla luce di ciò che si è sperimentato nel corso della serata».In un tempo in cui il sacro sembra essere messo al bando dalla nostra società perché ha deciso di lavorare ad una coreografia su Vangelo di Matteo?«Mi piaceva dedicare un lungo periodo di studio alla ciclicità degli eventi che partono dal corpo e che al corpo arrivano. Il Vangelo di Matteo, che inizia con l’Annunciazione e arriva alla Resurrezione, mi sembrava il testo ideale per questi approfondimenti. Il cuore di tutto il lavoro, che spero gli spettatori possano cogliere, è quello di riportare l’attenzione sul fatto che il corpo non è proprietà privata, ma è pneuma, soffio vitale: il percorso per rintracciare l’origine del gesto mi ha portato ad indagare l’origine dell’uomo il cui senso è raccontato nel testo di Matteo».Lo spettacolo è frutto di un percorso iniziato lo scorso anno. Come si è evoluto, cosa è emerso nei laboratori e nelle prove?«Il Vangelo viene messo in scena da oltre 150 persone dagli 8 ai 90 anni che sono individui, ma anche comunità. Da dicembre dello scorso anno ho viaggiato per l’Italia, Veneto, Trentino Alto Adige, Toscana, Emilia Romagna, Basilicata e Puglia, cercando persone del luogo che si sono rese disponibili a lavorare su suggestioni tratte dal racconto evangelico. Intorno a queste si sono create altre esperienze di studio e approfondimento: teatri, circoli culturali, associazioni private si sono messi in gioco e si sono aggiunti al progetto. Una semina continua. Sul territorio ho lasciato i miei assistenti che hanno continuato a lavorare. Nelle ultime settimane abbiamo assemblato il tutto, aprendo anche le prove durante il Festival internazionale di danza contemporanea.Anche quello del Vangelo secondo Matteo è un progetto che coinvolge molti non danzatori: come lavora con chi non è abituato alle regole della danza?«Solo il 10% degli interpreti sono danzatori professionisti. Mi piace lavorare con gente comune perché ritengo che tutto nel movimento e nella danza si debba svolgere con l’abbandono della postura per far sì che ci si concentri sul corpo nel quotidiano. Porto i non danzatori in un altro mondo, ma non impongo loro gesti e movimenti codificati: parto dai loro piccoli tic, dalle loro posture, dalle loro movenze. Un lavoro difficile per chi non è un professionista perché bisogna mandare a memoria, quasi come una preghiera, una sequenza di movimenti che dura una mezz’ora».La struttura dello spettacolo, con i quadri in contemporanea, presuppone una partecipazione degli spettatori.«Non sono per un coinvolgimento aggressivo e provocatorio del pubblico. Penso che se il lavoro è fatto con autenticità lo spettatore, guardando al gesto dell’altro e riconoscendolo come proprio, inizia in qualche modo a danzare anche lui. E anche camminare, muovendosi da una stazione all’altra, diventa una coreografia».