Agorà

LA STORIA. Da sessantottino a guru. E infine frate

Gerolamo Fazzini lunedì 31 ottobre 2011
Come per san Francesco, anche per Jacques Verlinde decisivo è stato l’incontro, nel Nord dell’India, con alcuni lebbrosi. «Uno spettacolo allucinante», di fronte al quale il suo maestro spirituale reagì con disprezzo: «Allontanati, lasciali percorrere il cammino del loro karma». È allora che, nel cuore di Jacques, iniziano a emergere le domande più profonde: «Ero pronto ad aderire fino in fondo a un sistema di pensiero e di pratiche che conducevano a un tale atteggiamento esistenziale davanti alla sofferenza e davanti all’altro?».Ma sarà l’incontro con un medico francese, cristiano - che a bruciapelo gli chiede: «Ora Gesù Cristo chi è per lei?» - a rivelarsi la svolta autentica della sua vita: il punto di non ritorno nell’itinerario Da Cristo al guru, andata e ritorno. L’esperienza di un cercatore di Dio, come suona il titolo stesso del libro-intervista (in libreria per i tipi delle Paoline, pagine 282, euro 19) in cui Verlinde riepiloga la sua originalissima avventura spirituale. Un’avventura da "cercatore di Dio", che lo ha portato, nel 1991, a vestire il saio ed entrare, col nome di Joseph-Marie, nella Fraternità monastica della Famiglia di san Giuseppe.Ma ce n’è voluto del tempo prima padre Verlinde arrivasse a prendere le distanze dall’infatuazione giovanile per l’esoterismo e il New Age e, successivamente, dalla passione, ben più solida, per le religioni orientali. Oggi padre Joseph-Marie insegna filosofia all’Università Cattolica di Lione ed è un apprezzato autore di saggi sui temi della fede.Ripercorrere la sua vicenda umana e spirituale significa esplorare una stagione culturale, quella post-’68, segnata da profonde inquietudini e da una forte, ancorché confusa, domanda religiosa. Nato nel 1947, Jacques, promettente scienziato, ricercatore al Cnrs in chimica nucleare, aveva abbandonato la pratica cristiana e, di fatto, la fede, folgorato, come tanti suoi coetanei, dalla meditazione trascendentale e dalla mistica induista. Nel suo itinerario di ricerca ad un certo punto spunta anche l’Lsd, «nello spirito di Timothy Leary che voleva fare - annota Verlinde - della droga una via mistica».Ammesso al seguito del guru Maharishi Manesh Yogi, in alcuni monasteri himalayani pressoché inaccessibili agli occidentali, per tre anni lo segue passo passo, fino a diventarne una sorta di segretario. Parallelamente approfondisce la conoscenza dell’induismo e del buddhismo e delle pratiche religiose che tali religioni propongono ai loro seguaci. Ma la sua sete interiore non viene placata. Ed è solo il ritorno a Cristo a ridargli la piena felicità: quel Cristo che aveva conosciuto da piccolo e che «era là, era sempre stato là, pronto a rivelarsi, attendendo un segno un richiamo, per manifestarsi ancora come il Signore».Fin qui la storia. Ma il volume di padre Verlinde, costruito a mo’ di intervista, è molto interessante (di più: prezioso) perché permette di far luce su una serie di aspetti mettendo a confronto quanto predicano induismo e buddhismo e quanto annuncia la novità del Vangelo. Padre Joseph-Marie non è certo fra coloro che teorizzano l’extra Ecclesiam nulla salus (tant’è che scrive: «La Chiesa deve essere compresa come la comunità delle persone che hanno accolto lo Spirito di Dio che bussa alla porta della loro coscienza che sappiano o no che si tratti dello Spirito del Cristo Gesù»). E tuttavia è deciso nell’evidenziare le profonde, ineliminabili differenze tra le religioni, pur guardate con grande rispetto. Si vedano, ad esempio, i passi relativi alla differenza fra compassione buddhista e carità cristiana oppure tra reincarnazione e resurrezione…Bellissime sono le pagine in cui padre Verlinde affronta il tema del desiderio. «Il problema non è il piacere, ma il nostro attaccamento a questo piacere. L’ascesi consiste nel mantenere la giusta misura nei piaceri legittimi affinché essi rimangano mezzi e non diventino motivi di idolatria». Alla domanda «Meglio spegnere il fuoco del desiderio o lasciarsi consumare da esso?», il religioso cristiano risponde: «Se l’uomo ha perso con Dio il senso della vita, egli non è più che una "passione inutile" ed è meglio fermare la fatica con l’annientare il desiderio pervertito. Ma la Buona Novella ci fa asserire che vi è un’alternativa! E questa alternativa porta un nome, perché si tratta di una persona: Gesù Cristo».Si misura qui tutta la distanza fra padre Verlinde e un importante studioso, tra i più noti a livello internazionale per quanto attiene alla teologia delle religioni, ma con un itinerario radicalmente divergente rispetto a quanto qui descritto. Di Paul Knitter - questo il suo nome - è appena uscito in italiano Senza Buddha non potrei essere cristiano (secondo titolo della collana Campo dei fiori, curata da Vito Mancuso per l’editore Fazi). «Per me la doppia appartenenza - scrive Knitter - non solo sembra funzionare: è necessaria. Il solo modo in cui riesco a essere religioso è essendo interreligioso. Posso essere cristiano soltanto essendo anche buddhista». Al contrario, Verlinde afferma: «Senza Cristo credo che sarei buddhista. Ma in Gesù ci è rivelata la possibilità di una nuova alleanza. Gesù è la Parola di verità sull’uomo, l’uomo perfetto».