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TELEVISIONE. Lombezzi: «Porto in tv le stragi dei cristiani»

Alessandro Beltrami martedì 6 dicembre 2011
​Un centinaio di persone linciate, tagliate a pezzi o bruciate vive. Cinquantacinquemila quelle scappate nella foresta per salvarsi e costrette allo stato di rifugiati. È il terrificante bilancio del pogrom anticristiano lanciato dai fondamentalisti indù nel 2008 nell’Orissa, nell’India orientale. Nessuna tv italiana, o quasi, ha raccontato diffusamente l’evento né le ferite lasciate. Un tema troppo difficile per il nostro pubblico televisivo? Non lo pensa Mimmo Lombezzi, reporter di lunga esperienza, che gli dedica la prima puntata della nuova serie di Storie di confine, da venerdì in seconda serata su Retequattro. «Erano anni che volevo raccontare la persecuzione cristiana, in India e in Iraq – racconta Lombezzi – Quanto accaduto nell’Orissa è una forma di fascismo. Questi indù si ispirano alle teorie di Hitler, tradotte nello slogan "l’India agli indiani", e le mettono in pratica». I principali bersagli sono le religioni "importate". Ma non è un problema che interessa solo le confessioni religiose, spiega Lombezzi: «Dovrebbe essere oggetto di dibattito delle forze laiche perché è un tema che tocca le basi della democrazia. Ed è tristemente significativo che a lavorare sul posto non vi ho trovato nessuna ong italiana, come nessun nostro politico nostrano vi si sia recato. Nemmeno le campionesse del femminismo, nonostante le donne siano tra le più colpite». Ed è proprio sulle figure femminili che Lombezzi ha costruito il suo reportage: «Gli stupri sono stati più degli omicidi. Ho ricostruito la storia di una ragazza di 25 anni violentata da 25 persone solo perché cristiana. Tutto nasce dall’opposizione a una conversione forzata. Un prete mi ha detto che in molti si sarebbero potuti salvare convertendosi, ma hanno rifiutato. È una della più grandi storie di martirio moderno».«Perché è difficile programmare trasmissioni di questo tipo? Non è certo tv di evasione, sono temi di approfondimento duri per i quali ci vuole una predisposizione» spiega Giuseppe Feyles, direttore di Retequattro. «Eppure sono necessarie. La difesa della libertà religiosa come diceva Giovanni Paolo II, è alla base di tutte le libertà. Inoltre Storie di confine è un format nato per documentare i progetti benefici sostenuti da Mediafriends. Si tratta di un esempio di giornalismo costruttivo. Sono puntate complesse per costi, cura, difficoltà tecniche e logistiche. Ma è un progetto che non vogliamo abbandonare». Appare lecito però domandarsi come conviva in palinsesto un proposta così con programmi come Quarto Grado, da molti portati ad esempio della deriva spettacolare che porta alla cronaca grandi ascolti: «In primo luogo io considero <+corsivo>Quarto Grado<+tondo> un programma di giornalismo in cui la cronaca nera è trattata non con morbosità ma con spirito indagatore. Sono quindi programmi che con toni diversi raccontano aspetti della realtà. Secondo, siamo una tv generalista e dobbiamo per missione editoriale ospitare programmi di genere, stile e target di gusto diverso. Per questo diamo spazio all’evasione, al sentimento, alla grande documentaristica. E, come in questo caso, al reportage».