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Arte e sacro. Costruire o ricostruire? Coventry, la cattedrale attraversata dal mondo

Raul Gabriel venerdì 26 aprile 2019

Le rovine della cattedrale di San Michele, a Coventry, e a fianco la nuova cattedrale costruita da Basile Spence tra 1956 e 1962 (Raul Gabriel)

Coventry è una città del Regno Unito nelle West Midlands. È stata protagonista di una devastazione così radicale durante la seconda guerra mondiale ad opera della Luftwaffe, da farla entrare nel vocabolario. «Coventrizzare» è diventato sinonimo di distruzione radicale e definitiva. Coventry ha una cattedrale a suo modo unica. Formata da due parti distinte che formano un vero e proprio organismo unitario: quella antica, e quella moderna, costruita in continuità con la prima.

La storia dice che la cattedrale di Coventry originaria, opera imponente del XIV secolo inglese, intitolata a San Michele come la nuova, venne distrutta dai bombardamenti tedeschi del 1940 (difficile non creare un legame istintivo con il recente incendio di Notre-Dame). Dopo averla vista, sperimentata, incontrata, posso affermare che quei bombardamenti, contro ogni logica, le hanno regalato una forza nuova.

Ciò che mi sono trovato di fronte non sono rovine ma una cattedrale viva, che esalta la trasfigurazione del martirio bellico con una forza inspiegabile. A ben guardare, inspiegabile non è. Le sue ragioni hanno radice nel coraggio di mantenere la autenticità del luogo. L’intervento di conservazione è stato tale da non alterare praticamente nulla del frutto dei bombardamenti.

La cattedrale antica, la liturgia della rovina

Il sacro è potenza, potenza del mistero. Le forme superstiti della cattedrale antica di Coventry sembrano crescere dalla terra come le maestose querce della brughiera del Warwickshire di Shakespeare, complice l’annerimento dei roghi generati dalle bombe al fosforo. E restituiscono uno sgomento difficile da descrivere. Ovunque decida di essere, il mistero non teme bombardamenti, cataclismi, devastazioni.

Ogni singola pietra della cattedrale originaria di Coventry è carica di vita. Tante storie la attraversano. La più suggestiva è quella della Charred Cross. Si dice che due travi della volta quasi carbonizzate siano cadute a terra formando una croce. La Charred Cross è conservata esattamente così nella cattedrale nuova, con cui la struttura originaria forma un organismo unico.

Il presbiterio è sconcertante. Nudo e maestoso, con le pareti prive di volta e vetri, parla di una liturgia di sacrificio che si rigenera e rimane vitale. La sua trasparenza sulla città è simbolo della fusione con l’ esistenza quotidiana che trasuda spudorata e vitale, in una liturgia senza soluzione di continuità. Sei in un altro luogo ma sempre nel tuo luogo.

Le vetrate, prime vittime di ogni esplosione, sono andate completamente distrutte. Eccetto qualche frammento, rimasto negli scorci delle finestre gotiche sopravvissute alla polverizzazione. Queste piccole schegge colorate, lasciate esattamente così come le bombe le hanno ripensate, diventano veri e propri gioielli controluce, feriti e preziosi, incastonati nel tesoro di Coventry. Sono i gigli del campo nella città del cemento.

Tra gli innumerevoli incontri all’interno del perimetro della cattedrale originaria, c’è l’Ecce Homo di Jacob Epstein del 1935. Un pezzo interrogativo e di grande potenza espressiva. Arcaico e compatto, sembra dire della solidità inalterata del luogo. Ecco il residuo di un ambone, la cui scala è stata interrotta da una esplosione, compiendo un’altra meraviglia. Quella interruzione diviene apertura verso il cielo, come una scala che si svolge senza preoccuparsi del sostegno, indicando l’infinito, la scala di Giacobbe calata direttamente nella vita mai semplice di una delle città a vocazione industriale più indifferenziate del Regno Unito.

Qui la Chiesa anglicana è riuscita a parlare della carne dell’incontro, che non è sua caratteristica fondamentale in altri luoghi, Westminster Abbey compresa, come poche altre realtà, cristiane e non, sono riuscite a fare. È riuscita a farlo perché ha saputo riconoscere, fidandosi senza tradire, senza timore dello scandalo di una devastazione solo apparente che qui come in nessun luogo dà conto del seme che morendo genera vita nuova. L’area della cattedrale originaria è intrisa di forza mistica nonostante la presenza di un continuo viavai di visitatori senza filtro.

Anche questo è stupefacente. Il luogo sacro autentico non teme l’umanità, che alle volte può essere devastante come le bombe. Non la teme perché è intessuto di carne. Anzi intesse la carne di tutta l’umanità che ci passa. Quelle pietre bruciacchiate sono parte delle mie ossa, del mio sangue, delle mie viscere. Fidarsi della lacerazione che quel luogo ha sofferto, senza pensare che dovesse essere resa accettabile, è segno di grande forza e delicatezza.

Vedendo quella realizzazione ho pensato a quante titubanze non risolte caratterizzano gli interventi che dovrebbero affrontare in Italia il tema di distruzione e rinascita. La mancanza di coraggio della visione, la mediocrità della passione, il piccolo mercato degli interessi locali sono la vera devastazione di luoghi che, spesso ricostruiti in copia finti come un fondale di teatro, perdono completamente il patrimonio di forza e mistero che avevano prima.

Tutto questo ha a che fare con la forza della lotta. Se del mistero non ti vergogni, il mistero sa ricompensarti. Come i resti più vivi che mai di questo luogo ti danno la possibilità di incontrarlo. La cattedrale originaria di Coventry è esattamente l’opposto della pulizia asettica e ideologica di tanta contemporaneità. E per questo è dentro l’uomo, e dell’uomo si fa testimonianza viva. Ti fa intendere perfettamente cosa significa la presenza non mediata da rappresentazione e quanto la carne ha necessità di carne, non di un malinteso senso di pulizia.

La cattedrale di San Michele originaria è la chiesa che viene attraversata dal mondo e ne viene profondamente segnata. Senza soluzione di continuità con l’esterno diviene con esso, il mondo, un corpo unico. Simbolo di una comunione che non esclude ma accoglie, sfidando apertamente dolore e rischio ed esaltando quelle ferite di cui troppi si sarebbero vergognati, ribaltandone mirabilmente il significato e con esso il corso della storia. Chi vuole vedere un miracolo, un miracolo senza effetti speciali, un miracolo quotidiano e persistente, un miracolo vero, vada a san Michele di Coventry, dove la vita sconfigge quotidianamente la morte.

La cattedrale nuova, il coraggio del fiore di cactus

Il motivo principale della mia visita alla cattedrale di Coventry nuova, costruita da Basil Spence tra il 1956 e il 1962 in esplicita continuità spaziale con quella originaria di San Michele, con la quale condivide l’intitolazione, era vedere il capolavoro di Graham Sutherland, maestro inglese del Novecento: il maestoso e inquietante arazzo del Cristo in Gloria sulla parete absidale. Mi ha sorpreso il fatto che il mio percorso verso l’opera sia stato rallentato progressivamente dalle sorprese che la cattedrale offre in ogni angolo. San Michele di Coventry nuova è un capolavoro in se stessa: a un tempo grande omaggio a quella originaria e sua continuazione nella modernità.

Non è questione stilistica. Anche se i materiali dei muri esterni sono chiaramente un rimando alla cattedrale originaria. Le due cattedrali sono un organismo unico e sorprendente, e raccontano aspetti diversi di una unica realtà. Quella nuova si svolge come una profonda riflessione mistica assolutamente originale, contestuale, nata dalla propria storia e comunità, una sorpresa in ogni realizzazione, in ogni soluzione. Mentre nella cattedrale originaria ci si è fidati dell’autenticità, in quella nuova ci si è fidati della intuizione artistica.

È raro vedere vetrate contemporanee in grado di reggere la sfida con quelle gotiche, giustamente celebrate. Le vetrate della cattedrale nuova di Coventry sono forse le prime della modernità che mi proiettano nella luce che cambia, la luce che vibra. Tutta la struttura celebra una unica gloria. E lo fa in una teoria della diversità che interroga su cosa tenga tutto insieme in maniera così solida.

In qualche modo il mondo biomorfo di Sutherland è diventato l’ossatura della chiesa, metafora di una vita che si snoda in forme e colori mutando costantemente eppure rimanendo sempre la stessa. Alla destra dell’ingresso si trova una parete che canta con la sua architettura e le sue vetrate, l’impianto formale dipinto con la luce, che a ben guardare è fatta di infiniti dettagli, di cui non vi è un significato didascalico. Come i colori di un pesce pappagallo, sono il segno mirabile di una gloria che si incontra semplicemente e direttamente attraverso i suoi frutti, che non devono giustificarsi se non attraverso la propria bellezza.

Alla base della parete vi è una pietra antica con la concavità della valva di una conchiglia scolpita: è il fonte battesimale, ancora utilizzato. Pietra monocroma, complessivamente lasciata al grezzo, parla attraverso la vibrazione della sua materia, ruvida e primordiale. La contiguità con la parete enorme delle vetrate regala una vicinanza di contrasti simile a quella tra cattedrale antica e cattedrale nuova. Un flusso continuo di energia tra due parti così eterogenee che trasmette il senso di un organismo vivo, pulsante.

La cattedrale nuova di Coventry sembra il fiore che cresce su un cactus. Perché Coventry non è una città facile. Il suo organismo complesso e vitale deriva da una attitudine di libertà, assenza di pregiudizi formali, dal pragmatismo inglese sedimentato nei secoli intriso di grande fede. Qui la qualità è cifra della espressione.

Gli elementi degni di nota sono innumerevoli. I porta ceri del presbiterio, ad esempio, elementi che spesso vengono considerati meno che minori, sono di una forza scultorea ed essenzialità formale sorprendenti. Sembrano fiorire dal presbiterio. La tessitura scultorea sopra il coro, sovrapposta in prospettiva con l’architettura dell’organo più dinamico che abbia visto, dà vita a un ibrido tra scultura e architettura e genera un susseguirsi di luoghi nel luogo.

L'unità sembra tutta svolgersi su un morphing perenne di organismi simbolici che sembra dar vita all’universo immaginato da Sutherland. Non è la somiglianza, ma la sostanza formale, che domina nella nuova cattedrale di Coventry e si struttura in un processo dinamico, non nella cristallizzazione statica. Per comprenderlo sono necessari pragmatismo e visionarietà, rigore concettuale intriso della componente biologica di cui il nostro esistere si nutre.

La vetrata d’ingresso che affaccia sulla cattedrale originaria è una costellazione di figure lattescenti che danno la sensazione di fluttuare a mezz’aria. Pur nel rapporto con una materia difficile come il vetro, che si presta all’irrigidimento semplificativo, preservano quella parte di tratto sporco che le riveste mirabilmente di realtà. L’arazzo di Sutherland cui si giunge con questa intensa preparazione del percorso, è geniale. Riassume il senso della rivelazione, mantenendo il senso dell’ignoto. Le forme e i cromatismi sono di un mondo altro, indefinibile, ma potentissimo. Il Cristo crocifisso alla base, sotto il Pantocratore, abbraccia in maniera indefinibile tutti i generi, è una incredibile sintesi tra Grünewald e Francis Bacon.

Stasi e dinamica della forma, dichiarazione iconica e senso di evoluzione in un altro stato. Non è rassicurante la cattedrale di Coventry come non lo è il mistero. È un progressivo disvelamento di tanti incontri che attraverso le opere, vetrate, sculture, dipinti, reliquie come la Charred Cross, ti portano dentro un luogo con cui l’unico rapporto possibile è la contemplazione.

La sua forza, la sua testimonianza, deve far riflettere chi pensa che realizzare un luogo sacro sia assemblare temi accademici in un approccio architettonico da concorso, più attento alle norme del momento che alla qualità artistica e mistica. L’organismo vivo e articolato della cattedrale di San Michele di Coventry non è nato da un progettino perfettino ed azzimato. È nato dai bombardamenti più ostinati della storia. Dalla verità del luogo, dalla esaltazione di una sconfitta che solo così può diventare la vera grande vittoria che è la speranza dell’uomo.