Agorà

ZEFFIRELLI. «Con Turandot all’Arena chiudo la mia carriera»

Pierachille Dolfini domenica 6 giugno 2010
Quando, quasi nascondendolo tra una frase e l’altra, con la voce increspata dalla raucedine, butta lì «questa Turandot sarà il mio canto del cigno» fermi la penna. Smetti di scrivere. Scusi, maestro? «Sì, il mio canto del cigno» ripete serio Franco Zeffirelli. Il regista fiorentino è a Verona, impegnato nelle prove dell’estremo capolavoro pucciniano che venerdì 18 aprirà la nuova stagione lirica dell’Arena. «Non ho più l’energia necessaria per affrontare le grandi sfide che hanno sempre segnato la mia carriera» spiega Zeffirelli. Poi si ferma. Prende fiato. «Ma non è una questione di età che avanza – dice fermo il regista che lo scorso febbraio ha compiuto 87 anni –: in testa ho mille progetti. È che sono scoraggiato da quello che accade nel mondo della lirica».Si riferisce alla riforma del ministro Bondi contro la quale i teatri protestano da mesi?Tagliare fondi è sempre una cosa iniqua. Anche se in Italia c’è gente che sfrutta la cultura, che si fa dare i soldi e non fa nulla se non i propri interessi. Occorre fare pulizia: non serve sparare nel mucchio indistintamente, ma bisogna valorizzare le eccellenze ed estirpare le radici marce. Comunque non è questo che mi scoraggia.Cosa, allora?Accendere la tv e vedere come la grande tradizione del melodramma possa trasformarsi in un varietà. Aprire i giornali e leggere dichiarazioni offensive di chi vuole farsi paladino della diffusione della lirica senza conoscere la storia di questo patrimonio della nostra Italia e senza mai essere stato una volta all’opera.Parla del programma di domenica sera su Rai uno con Antonella Clerici trasmesso in diretta proprio da Verona?Aver portato in quel modo la lirica in tv è stata una follia pura, un modo irresponsabile di annacquare la grande tradizione del melodramma mischiandola con le canzonette. Giudizi duri. Eppure quest’anno l’Arena ha un cartellone interamente dedicato a lei: cinque allestimenti tutti con la sua regia. Non pensa che il programma tv possa essere stato una buona pubblicità per portare gente a teatro?Ma io non ho bisogno di questi spot. Non ne ha bisogno nemmeno il pubblico. Perché pensare di rendere popolare la lirica solo portandola in tv è un grave errore: è la qualità degli allestimenti la miglior pubblicità, il miglior modo per convincere gli spettatori che il vero intrattenimento artistico è quello della grande tradizione. Non sbaglia solo la tv, intendiamoci. Sbagliano anche gli uomini di teatro, quelli che pensano di accattivarsi i favori del pubblico volendo essere moderni a tutti i costi, anche quando le regie fanno a pugni con la musica. Ma la lirica sa difendersi da sola perché ha valori che vanno al di là di qualsiasi tentativo di distruggerla: regie del genere durano una stagione, le mie, che molti accusano di essere troppo tradizionali, sono ancora in repertorio da New York a Vienna.E la «Turandot» di Verona come sarà?Riprende gli allestimenti del 1983 alla Scala e del 1985 al Metropolitan: l’enorme palco dell’Arena mi consente di proporre una versione kolossal del capolavoro pucciniano. Sarà l’allestimento più tecnologico della mia carriera, ma anche la produzione più matura. Ho riletto la vicenda alla luce dell’incompiutezza della partitura: Puccini non finì di scrivere l’opera perché morì, così ho chiesto e ottenuto dall’Arena che venisse accorciato il finale di Alfano per lasciare più spazio al personaggio di Liù, quello che incarna i grandi temi dell’amore e della morte, due aspetti che oggi racconto con un coraggio, una consapevolezza che da giovane non avevo.Che effetto le fa una essere celebrato dall’Arena con un cartellone monografico?Da una parte sorrido perché mi vengono in mente certe «manifestazioni» dei regimi comunisti. E sorrido ancor di più se penso che l’Italia ha deciso di varare questa prima volta, dedicandola a me che comunista proprio non sono. Ma ovviamente sono anche orgoglioso. Tanto più che questo omaggio arriva in un periodo in cui in molti fanno a gara per celebrarmi. Al Met di recente hanno avuto in cartellone per una settimana le mie storiche produzioni. A Londra stanno preparando un libro di 790 pagine – che in Italia De Agostini ha già prenotato – che in tre capitoli (cinema, teatro e opera) ripercorrerà la mia carriera: l’ho visto in anteprima e mi sono commosso per il fatto di poter rileggere il mio lavoro come se fossi un ragazzino che sfoglia una gran bella storia, la scopre e la conosce per la prima volta.