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Ritratto di famiglia. Thomas, il figlio norvegese di Tognazzi: io e papà Ugo

Angela Calvini domenica 17 gennaio 2021

Nella foto che fa da copertina al libri biografico, Ugo Tognazzi con la moglie Franca Bettoja e i quattro figli. In alto il più grande, Ricky, poi Thomas, e i più piccoli Gianmarco e Maria Sole

«Quando è morto papà, noi figli pensavamo che dopo qualche anno sarebbe stato dimenticato. Invece in Italia anche gente che non era nata quando è morto Ugo lo conosce. E anche in Norvegia, dove non era molto famoso, ogni tanto incontro qualche italiano o francese che mi chiede se sono il figlio di Tognazzi».

È sorpreso e felice dell’affetto che ancora circonda la figura di suo padre Thomas Robsham, 56 anni, regista e produttore nato dal matrimonio tra il grande attore italiano e l’attrice norvegese Margarete Robsham, celebrato nel 1963.

A trent’anni dalla scomparsa di Ugo Tognazzi, Thomas – che vive e lavora in Norvegia – ha accettato di scrivere insieme ai fratelli Ricky (figlio della ballerina britannica Pat O’Hara), Gian Marco e Maria Sole (figli dell’attrice Franca Bettoja, sposata nel 1972) una biografia a quattro mani, Ugo. La vita, gli amori, gli scherzi di un papà di salvataggio (Rai Libri. Pagine. 208. Euro 17,00) dove ognuno dei figli racconta il suo punto di vista su un padre particolare e sul proprio personale rapporto con lui.

Thomas, lei che ha sempre vissuto in Norvegia, che rapporto ha con i suoi fratelli?

Ottimo. Tutti e quattro abbiamo pensato che se dopo 30 anni un interesse esiste ancora, perché non raccontiamo noi nostro padre? Io per tutti gli anni ’90 venivo spessissimo in Italia, con Gianmarco abbiamo fatto un film insieme, S.O.S., ora ogni due anni vengo in vacanza in Italia, e ogni tanto anche loro vengono su. In particolare con Gianmarco, più vicino a me per età, appena ci siamo conosciuti da bambini ci siamo subito sentiti fratelli. Questo anche grazie a Franca Bettoja che mi ha accolto, quando stavo da loro in vacanza due mesi e mezzo d’estate. Quando io avevo 7 anni Ricky ne aveva 17, Maria Sole era appena nata, papà lavorava come sempre e io stavo con loro, era una seconda famiglia.

Che lei ha scoperto di avere solo all’età di sei anni…

Quando Ugo e mia madre si lasciarono, dopo tre anni di matrimonio, si risposarono abbastanza presto e Margarete ebbe dal nuovo marito una bambina. Io davo per scontato che lui fosse mio padre, finché mia nonna si decise a dirmi la verità. Chiesi conferma a mia madre che mi mostrò una foto del mio vero padre. Decisi di tenerla io, e per un anno vissi con lei, andavo a dormire con quella foto. L’esigenza, anzi il desiderio di sapere chi fosse questo padre ignoto si faceva più forte, finché a 7 anni chiesi di conoscerlo. Lei si commosse: «Anche lui vuole conoscerti » mi rispose. Così lo andammo a trovare in Ungheria, dove Ugo girava un film. E l’estate andai a trovarlo a Roma.

Quanto la figura di suo padre l’ha influenzata dal punto di vista artistico?

Lui ha scritto cinque libri sulla cucina e il ricordo più caro è uno di questi con una dedica: «Caro Thomas, con la raccomandazione di copiarmi soltanto in questo». Ma comunque, il mio debutto nel mondo del cinema avvenne da piccolo, come attore. Quando tornai da quella prima meravigliosa estate a Torvajanica, portai con me una maglietta del Milan di cui ero grande tifoso, che mi aveva regalato mio padre. E con quella maglietta sono apparso in un film che stava girando mia madre. Da giovane io ero più curioso di vedere come si faceva un film, come si organizzava, non avevo l’ambizione di fare l’attore. E infatti piano piano sono diventato un regista e poi produttore.

Non ha mai avuto il complesso del confronto con un mito del cinema come Ugo Tognazzi?

Per me è stato più facile che per i miei fratelli, perché Ugo non era molto famoso in Norvegia. Piuttosto è più famosa la famiglia Robsham, mia madre come attrice, mia sorella regista, un’altra sorella produttrice, anche i miei due miei figli lavorano nel cinema. Invece Gianmarco, Maria Sole e Ricky hanno sempre dovuto fare i conti con il nostro cognome mentre cercavano la loro strada, non senza frustrazioni. Quando uscì La grande abbuffata, invece, ebbe un grande successo anche in Norvegia. All’epoca ero un punk e avevo degli amici squatter che parlavano di questo film fantastico e io non sapevo se potevo dire che il protagonista era mio padre, e che conoscevo gente come Sergio Leone e Ennio Morricone…

Qual è il primo ricordo sul set con suo padre?

Mi ricordo che mi ritrovai su un set dove facevano cadere la neve falsa, che aveva una puzza orrenda, una cosa stranissima per me che vivevo in mezzo alla neve vera. E poi venivano tanti artisti e registi a trovarlo a Torvajanica o a Velletri. Quando venne Bertolucci, io speravo fosse il tennista. Da bambino volevo incontrare i calciatori, Facchetti, Zoff…Però poi sono diventato fan di Ettore Scola, il mio regista preferito insieme a Fellini, che è stato per me una fonte di ispirazione. Scola è stato sottovalutato in Italia, mentre invece i suoi film arrivavano all’estero. Se Ugo Tognazzi avesse fatto una Giornata particolare o C’eravamo tanti amati sarebbe stato più famoso fuori dall’Italia.

Crede che suo padre, Ugo, avesse qualche rimpianto?

Ha rifiutato dei film che poi hanno avuto successo. Ugo amava lavorare, lavorava sempre e se non faceva i film, cucinava, d’estate poi organizzava il torneo di tennis. Prendeva anche ruoli che, in cuor suo, sentiva di non dover accettare, così poi ha chiesto scusa, prima di tutto a se stesso, per avere fatto dei film brutti. Se non fosse morto a 68 anni, forse, avrebbe fatto qualche altro film di respiro internazionale.

Cosa successe quando suo padre mancò?

Io avevo 26 anni quando è morto – il 27 ottobre 1990 – . Era depresso alla fine, sembrava più vecchio della sua età. Pensavo che sarebbe vissuto molto più a lungo. A un certo punto, ebbi paura di venire a sapere che Ugo fosse morto attraverso un giornale. Un giorno Ricky mi ha chiamato per dirmi di prendere il primo aereo perché papà era grave. Il viaggio durò 10 ore, quando sono arrivato era troppo tardi. Sia io che Ricky ci siamo confidati di avere sognato spesso che Ugo tornava, che non era mai morto. Ogni volta che faccio un film mi piacerebbe che lui potesse vederlo. Anche Gianmarco avrebbe voluto dimostrare al padre che è diventato un artista capace. Ricky era grande, era quello che parlava di più con papà, e pensavo che crescendo anch’io avrei avuto un rapporto così... Oggi penso che non sono riuscito a conoscerlo benissimo...

Thomas, ha scoperto qualcosa dopo la sua morte?

Sistemando il suo appartamento, ho trovato una cassetta con la registrazione di un’intervista che aveva rilasciato alla radio: parlava del dolore di aver perso sua madre Alda molto giovane. Non ce l’aveva mai raccontato, mi ha fatto capire diverse cose di lui. Chissà, magari è solo uno dei tanti lati segreti di Ugo che scopriremo solo vivendo.