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Musica. Con lo “Stabat Mater” la speranza risuona alla Scala

Pierachille Dolfini domenica 3 aprile 2022

Il direttore d'orchestra Riccardo Chailly dirigerà stasera alla Scala il “Concerto per la pace”

L’immagine potente, drammaticamente attuale, è quella del Calvario. Una madre, con in braccio il figlio morto. Icona tragica del nostro presente. Del dolore di chi piange una perdita. Violenta. Insensata. Inspiegabile. Il dolore di chi improvvisamente deve fare i conti con il carico di morte che una guerra porta sempre con sé. Lo fa ancora oggi, ce lo raccontano quotidianamente le immagini che arrivano dall’Ucraina. «Stabat Mater dolorosa, iuxta crucem lacrimosa, dum pendebat filius» le parole che risuonano all’inizio della sequenza di Jacopone da Todi. Capace di catturare in un’immagine dalla forza dirompente e tragica il dolore di Maria che sta sotto la croce alla quale è appeso il figlio. Immagine che ha attraversato il tempo – l’ha scolpita Michelangelo, l’ha messa in musica Gioachino Rossini – raccontando lo strazio di tutte le madri che hanno pianto la morte di un figlio.

Lo fa ancora oggi mentre il mondo osserva, impotente, il conflitto in Ucraina. Dove si muore. Dove si piange. «Il nostro canto vuole essere un’espressione di solidarietà e di sostegno concreto alla popolazione dell’Ucraina colpita dalla guerra» dice Riccardo Chailly che stasera (alle ore 20) al Teatro alla Scala di Milano dirigerà lo Stabat Mater di Gioachino Rossini nel “Concerto per la pace” messo in campo dal Piermarini per raccogliere fondi a sostegno delle popolazioni colpite dall’attacco sferrato a Kiev dalla Russia di Vladimir Putin.

Appuntamento straordinario voluto, «interpretando un auspicio unanime dei professori d’orchestra, degli artisti del coro e di tutti i lavoratori», dal sovrintendente Dominique Meyer e dal maestro Chailly, direttore musicale del Teatro alla Scala, che guiderà orchestra e coro al quale si uniranno le voci del soprano Rosa Feola, del mezzosoprano Veronica Simeoni, del tenore Juan Diego Florez e del basso Alex Esposito. Tutti si esibiranno gratuitamente, nessun biglietto omaggio è stato staccato e il ricavato, destinato al sostegno dei profughi in arrivo a Milano e agli aiuti per i cittadini rimasti in Ucraina, sarà interamente devoluto alla Croce Rossa e al fondo #milanoaiutaucraina della Fondazione di Comunità Milano onlus voluto dal Comune. Alle 17.45 i proventi di biglietteria ammontano a 263.006 euro a cui si aggiungono 119.687 euro di donazioni per un totale di 382.693 euro.

«Il protrarsi della guerra con il suo carico di violenza e di distruzione e l’emergenza dei profughi che assume proporzioni sempre più drammatiche impongono a tutti di prendere posizione, ma soprattutto di agire» riflette il sovrintendente Meyer ringraziando gli artisti, i lavoratori e tutto il pubblico e ricordando che anche questa volta la Scala, «sempre presente nei momenti salienti della vita civile di Milano e dell’Italia, ha deciso di mobilitarsi». Lo fa con la musica di Rossini (l’ultima volta che lo Stabat Mater è risuonato al Piermarini era un anno fa, diretto da Myung-Whun Chung nel teatro vuoto a causa del Covid, altro momento drammatico della nostra storia) che andrà in tutto il mondo grazie alla diretta streaming sui canali Facebook e Youtube del teatro.

«Di fronte alle grandi tragedie, di fronte alle guerre provo un senso di impotenza. Mi chiedo perché la musica non possa fare nulla di concreto. Poi rispondo facendo musica, facendo sì che la mia gioia personale, quella che provo quando sono sul podio, possa diventare una gioia collettiva. Non mi ritrovo nell’atteggiamento di molti musicisti che pensano che un concerto possa risolvere un problema politico o lenire un dolore fisico perché mi accorgo che in quei momenti l’umanità ha bisogno di ben altro che di un concerto» ha ricordato più volte Chailly, sensibile interprete rossiniano, che domani alla Scala tornerà a dirigere la pagina dove Rossini dipinge la scena del Golgota e la impasta con i sentimenti dei personaggi che si stagliano sulla luce livida dell’eclisse di sole che, raccontano i Vangeli e le cronache del tempo, fu vista a Gerusalemme alle tre del pomeriggio quando «si fece buio su tutta la terra».

Sentimenti di terrore, di rabbia, di paura, ma anche di consolazione cantati da un uomo che prega, un uomo che, guardando alla Madre che “sta” sotto la croce, chiede che «quando corpus morietur» sia donata all’anima «paradisi gloria». Uno sguardo che si apre all’eternità. «La musica sacra è inevitabile per un musicista. Se poi uno crede, il coinvolgimento è ancora maggiore. Per me è necessaria, va al di là della razionalità. È un fatto spirituale, una necessità di avvicinamento ad un ideale di pensiero sacro», dice ancora il direttore d’orchestra milanese che proporrà la pagina scritta dal compositore pesarese tra il 1831 e il 1841, proposta in una esecuzione privata a Madrid, completata successivamente ed eseguita in prima assoluta nel 1842 al Théâtre Italien di Parigi e subito dopo arrivata in Italia, nella cornice della basilica di San Petronio a Bologna.

Il coro disegna la scena del Calvario, il tenore evoca la spada che trafigge l’anima a Maria, soprano e mezzosoprano si chiedono chi non piangerebbe vedendo il dolore di una madre che ha perso un figlio, il basso ammonisce che Cristo si è sacrificato per i peccati del suo popolo e il grido di terrore dell’Inflammatus, quando il soprano chiede di non essere dannato all’inferno, si placa nell’Amen. In sempiterna saecula che chiude la grande pagina rossiniana. Un abbraccio. Quasi una speranza. «È questo che noi musicisti siamo chiamati a fare: aiutare le persone a nutrire una speranza. E io, nonostante tutto, spero ancora nell’uomo» riflette Chailly pronto a levare il suo grido, in musica, per chiedere «che tacciano le armi e finisca la guerra».