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L'anniversario. Così il cinema scoprì il COLORE

Luigi Marsiglia venerdì 30 gennaio 2015
Nell’edizione 2015 della Berlinale, festival internazionale del cinema che si svolge dal 5 al 15 febbraio nella capitale tedesca, all’interno della scenografica Potsdamer Platz, sono molti i film in passerella a contendersi il prestigioso Orso d’oro, simbolo della rassegna. Un appuntamento ghiotto per i cinefili di mezzo mondo, in considerazione anche dell’atteso ritorno a Berlino di Werner Herzog che firma la regia di La regina del deserto, pellicola basata sulla biografia di Gertrude Bell (1868-1926), archeologa, scrittrice e spia britannica sostenitrice, insieme a Lawrence d’Arabia, della rivolta araba durante la Prima guerra mondiale. È un’affascinante Nicole Kidman a interpretare il ruolo della Bell, nel film di Herzog. Ma non saranno solo le anteprime d’autore a essere protagoniste della Berlinale 2015, dato che quest’anno cade il centenario della nascita del Technicolor, che permise al grande schermo di passare dal bianco e nero al colore, facendo così diventare ancora più reali e consistenti le immagini impresse dalla luce sui nastri di celluloide. La Technicolor Motion Picture Corporation è stata fondata nel 1915 a Boston da Herbert Kalmus, Daniel Comstock e W. Burton Wescott, gli stessi pionieri a cui si deve l’invenzione del primo processo additivo bicromatico, cioè a due colori: rosso e ciano, che dà inizio all’era del cinema a colori. Il segreto stava nel porre un prisma dietro l’obiettivo della cinepresa per separare i fasci luminosi che, selezionati attraverso due filtri, impressionavano diversamente i fotogrammi, producendo così due negativi: in rosso e ciano, appunto. Appena vent’anni prima, il 13 febbraio 1895, i fratelli Lumière avevano depositato il brevetto di quel magico strumento da loro battezzato cinématographe, capace di dare vita e movimento ai fotogrammi proiettati in rapida successione su un telo bianco; ora, questi negativi assumevano le stesse sfumature cromatiche della realtà di ogni giorno, con colori talmente saturi da divenire un marchio di fabbrica immediatamente riconoscibile. Trascorsero decine di anni, prima che il procedimento avviato a Boston assumesse le caratteristiche definitive, merito anche di una tecnologia che non ha mai smesso di apportare innovazioni per superare gli innumerevoli problemi insiti nel sistema. È il 1922 quando, cambiando tipo di cinepresa e filtri, si sperimenta il Technicolor Process 2; qualche anno dopo tocca al Process 3, che migliora sostanzialmente il precedente; nel 1932 si passa al 4, il quale impiega un metodo sottrattivo a tre o quattro colori e a trasferimento di coloranti, per giungere nel 1997 al Process 6. Tra tentativi, fallimenti e nuove conquiste, il Technicolor è stato il procedimento di cinematografia più usato negli Stati Uniti in trent’anni, dal 1922 al 1952, soprattutto dai registi di film d’animazione, in costume e musicali; ed è il secondo dopo il Kinemacolor, messo a punto in Inghilterra e in auge dal 1908 al 1914, a essere impiegato su vasta scala per la colorazione delle pellicole.  Perciò nel cartellone della Berlinale spicca il giusto tributo a una tecnica che, in un secolo, insieme all’avvento del sonoro ha rivoluzionato il cinema e l’idea stessa di cinema, grazie all’inserimento dirompente del linguaggio dei colori. Accanto ai film di Herzog e degli altri registi cult presenti in palinsesto, al festival di Berlino vengono riproposte quelle pellicole che più di altre hanno contrassegnato la stagione d’oro del Technicolor. Una retrospettiva con una trentina di titoli indimenticabili, alcuni dei quali appena restaurati e tutti girati tra il 1915 e il 1953. Tra questi Via col vento del 1939, famoso sia per la battuta finale di Rossella O’Hara, interpretata da Vivien Leigh: «Dopotutto, domani è un altro giorno!», che per le ambientazioni e il tramonto rosso fuoco, tipico dei cieli del Sud degli Stati Uniti, con cui si chiude il film. Cantando sotto la pioggia, 1952, dove Gene Kelly e Debbie Reynolds cantano e ballano armati di ombrello tra le pozzanghere, indossando un impermeabile giallo lucente; Il mago di Oz (1939) dalle scenografie sgargianti o verde acido; Duello al sole, diretto nel 1946 da King Vidor; I tre moschettieri  (1948) e Gli uomini preferiscono le bionde (1953), con una seducente Marilyn Monroe in seta rosa.  Cento anni fa, nelle sale cinematografiche d’Oltreoceano uscivano il capolavoro di D. W. Griffith Nascita di una nazione, film che racconta la guerra civile americana attraverso gli incappucciati del Ku Klux Klan; e il gustosissimo Il vagabondo di Charlie Chaplin: due pietre miliari del cinema in bianco e nero. In quello stesso 1915 iniziava l’epopea del colore sul grande schermo, che ritrova qui a Berlino la sua storia. Una storia girata in Technicolor.