Agorà

INTERVISTA CON MAFALDA ARNAUTH. «Col mio fado canto l’anima della gente»

Giovanni Ruggiero venerdì 4 dicembre 2009
Una voce calda, come i suoi occhi, quella di Mafalda Arnauth, chiude a Napoli con il Concerto dell’Epifania la serie dei concerti natalizi della Rai. Arnauth è una delle più originali interpreti del fado. A Napoli - e certamente l’incanterà - presenta il suo prossimo album, Flor de fado, tra innovazione e ossequio della tradizione.Lei è tra le poche che può aspirare al trono lasciato vuoto da Amalia Rodriguez. Cosa deve a questa regina del fado?«Amalia mi ha fatto scoprire un nuovo mondo e un nuovo modo di comunicare. Ho cantato tutte le sue canzoni, ma poi è stato necessario allontanarmi da lei per scoprire me stessa. Con lei ho scoperto le radici. Sono partita da lì per trovare il mio fado».Il suo canto si mantiene nella linea della tradizione, ma il fado può modificarsi nel tempo?«Rispetto molto la tradizione anche nella formazione musicale (chitarra classica, chitarra portoghese e basso) e preferisco la linea melodica della canção. Il fado può cambiare, ma molto lentamente con la ricchezza personale che ciascuno di noi può portare. Cambia in base alle varianti personali di chi lo canta».Lei cos’ha portato di nuovo al fado?«La trasparenza della mia vita. Canto il mio mondo e creo qualcosa di estremamente personale. Penso di aver portato una parte positiva, comunicativa, più aperta del tradizionale fado».Un suo verso dice: «Se ne va il fado oscuro; se ne va con le mura di paura». Cosa fa cadere queste mura?«Nel fado c’è spazio un po’ per tutto. Mi rifiuto di restare troppo attaccata alla tristezza tradizionale di questo canto. La tristezza non costruisce nulla. Credo nella vita. Questo amore per la vita è in tutte le mie canzoni».Per lei cos’è dunque il fado?«Il fado è la vita reale, la vita quotidiana. Molti pensano che il fado sia triste e in tanti continuano a cantare un fado melanconico. Io però sono vissuta circondata da persone piene di vita, ricche di spirito e coraggiose. Tudo isto è fado. Il mio fado. Diverso e aperto. Fado è parlare della vita di tutti i giorni, anche delle cose più semplici che però diventano importanti per noi. E ci fanno ricche».Il fado, si percepisce immediatamente, richiama ed è venato da una fede indefinita. È d’accordo?«La fede religiosa nel fado c’è. Assolutamente. Sono nata e cresciuta nella fede religiosa, ma non ho mai vissuto una fede che opprime, una fede triste. È una fede nell’amore assoluto. Ognuno è libero, poi, di personificarlo come crede. Nella figura del Signore, ad esempio, e dunque il fado trascende la religione stessa. Va al di là, proprio perché alla base ha questo senso dell’amore infinito».Un’altra sua canzone dice: «Andrei a bere la luce e vedere spuntare il giorno». Cos’è questa luce?«È una fede: credere nelle cose belle. Il mio prossimo cd Flor de fado è focalizzato sulla gente. Canto i sentimenti più belli e segreti degli uomini. La luce che hanno dentro. È la parte calda di ciascuno di noi: il cuore».Il fado è uscito dai confini di Lisbona, come spiega questa diffusione anche in altre culture?«Il fado canta l’anima in una maniera così reale che smuove i sentimenti più profondi delle persone. Queste emozioni fanno parte di tutte le culture. Il fado esprime sentimenti universali: ridere, piangere, soffrire, gioire. Il mondo è più aperto ad accogliere nuove culture, compresa quella portoghese. Io del resto faccio la stessa cosa, ma al contrario, quando inserisco nel mio canto altre culture, come il flamenco spagnolo o il tango argentino».