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Il cantautore. Cocciante: «Nell'incontro c'è la vera ricchezza»

Angela Calvini giovedì 15 agosto 2019

«Quando la cattedrale di Notre Dame a Parigi ha preso fuoco sono rimasto allibito, sembrava impossibile che accadesse a questo simbolo mondiale d’arte e di fede. Ho dichiarato subito la mia disponibilità all’aiuto, però non abbiamo voluto speculare su questa tragedia con un concerto omaggio da Notre-Dame de Paris, sarebbe stato di cattivo gusto». Riccardo Cocciante è un artista discreto, che parla quasi sottovoce e ancora con stupore dell’incendio che ha devastato lo scorso aprile la cattedrale cui è comunque legato dal successo planetario della sua opera moderna, tratta dal romanzo di Victor Hugo. Notre-Dame de Paris, musiche di Cocciante e liriche di Luc Plamondon che ha debuttato nel 1998 a Parigi, da quando è arrivata in Italia nel 2002, con le liriche di Pasquale Panella e con la produzione di David Zard, è stata vista da oltre quattro milioni di spettatori solo nel nostro Paese. Ora ritorna a girare l’Italia dal 13 settembre da Pesaro, con tre date all’Arena di Verona dal 3 al 5 ottobre, passando poi a Milano, Bologna, Firenze, Napoli, Bari, Torino, Roma. Confermata buona parte del cast originale, Giò Di Tonno (Quasimodo), Graziano Galatone, Matteo Setti, Vittorio Matteucci, ma con una nuova Esmeralda, la giovane albanese Elhaida Dani, vincitrice di The voice of Italy di Rai 2, dove era nella squadra proprio di Cocciante.

Pare che Notre-Dame diventi di giorno in giorno sempre più attuale: gli ultimi descritti da Hugo in scena diventano i sans-papier.

Ogni volta che c’è l’inserimento di un altro popolo in un Paese, questo crea delle difficoltà. Lo viviamo adesso e lo vivremo ancora per tanto tempo. La nostra Italia è costruita sulla diversità, basta andare in Sicilia e vedere nella popolazione sia i tratti arabi sia quelli normanni. La diversità è la grande ricchezza dell’umanità. Mescolarsi stimola la produzione di nuovo pensiero. Però, certo, il contatto è difficile. Quindi accettiamo questo contatto e vedia- mo che succede.

La sua nuova Esmeralda, infatti, arriva dall’Albania.

Elhaida ha una voce straordinaria. Per lei è una rivincita quella di essere di un altro Paese e di essere riuscita a conquistarsi un ruolo così importante. Ha fatto un lungo lavoro per imparare bene l’italiano, per prendere dimestichezza con l’opera interpretando prima un piccolo ruolo nella versione francese, e poi per entrare nella psicologia di Esmeralda. Anche a lei, come a tutti gli artisti, abbiamo chiesto di essere stessi, abbiamo chiesto la verità.

Lei, però, dopo The voice non ha partecipato più ai talent.

Non amo entrare in un ingranaggio o in un sistema. Ogni volta sono scappato via. Sanremo l’ho fatto, l’ho vinto e ho detto: non tornerò più. Lo stesso ho detto alla fine di The voice. Per il fatto di utilizzare i cantanti, prenderli e buttarli via così, ho sofferto tanto. Quando dovevo eliminare certi giovani, alcuni anche molto bravi, mi veniva da piangere. Perché c’era la speranza davanti a loro. La vita è un po’ crudele, ma agisce in un altro modo. Invece lì arrivi, canti e via, finito. E non c’è molta speranza per questi ragazzi di emergere. Ma è proprio l’ingranaggio in generale che non mi piace.

Infatti vent’anni fa spiazzò tutti scrivendo musical.

Fare Notre-Dameè stato un modo per uscire dal sistema. Io ero un cantautore e quest’opera ha significato sperimentare, non ripetersi. Quando un cantante inizia, i primi due o tre dischi sono belli perché sono sentiti davvero. Poi la casa discografica ti dice: mi devi fare un successo. Ti danno degli anticipi, entri in un sistema. È la cosa peggiore per l’arte.

Un sistema che però oggi sforna uno via l’altro cantanti e canzoni di cui poi non ci si ricorda più.

Oggi la situazione è esasperata, ma è sempre esistito questo sistema che maciullava tanti cantanti. Però il vero talento arriva sempre. La verità di qualcuno che emerge dalle difficoltà, propone qualcosa di diverso che rompe le regole e merita tutto il suo successo. Nella musica internazionale ci sono tutte queste ragazze provocanti, e poi arriva Adele, che non è così appariscente ma, semplicemente, canta. Che bellezza.

Lei continua ancora a comporre canzoni?

Io compongo sempre, ma non pubblico. Fra i prossimi progetti, cercherò di portare in Italia Il piccolo principe. Però la prossima produzione è in lavorazione in Cina: Turandotin cinese, scritta da Panella, debutterà a maggio a Pechino. È un’altra sfida: fare una riscrittura con il nostro linguaggio contemporaneo della stessa storia che ha ispirato Puccini, con cui non abbiamo niente a che vedere. I cinesi mettono mezzi, produzione, cantanti, ma la decisione finale è sempre mia. Bisogna trovare l’equilibrio fra la loro cultura e la nostra, fra modernità e passato.

Qual è il segreto del successo di Notre-Dame de Paris?

L’ho scritta senza pensare di fare un successo, ma per pura passione. Quando lo feci il musical “non funzionava”, non avevamo neanche la speranza di poterla rappresentare. I produttori di Parigi non volevano neanche sentirla. Solo Charles Talar è venuto per ascoltare: mi sono messo al pianoforte e ho cantato tutta l’opera dall’inizio alla fine. Non si è mosso, alla fine si è alzato e ci ha fatto firmare un contratto per prenotare il Palais des Congrés per quattro mesi. Non lo riempiremo mai, pensavamo... Da allora Notre- Dame, invece, non si è mai fermata: da vent’anni gira tutta l’Asia, è stata fatta in Cina, in Russia, in Corea... È bellissimo vedere come la musica riesce a inserirsi in società che sembrano molto lontane dalle nostre.

Forse c’è anche la protezione della Madonna di Notre-Dame?

C’è sempre bisogno di protezione, siamo stati benedetti, questo sicuramente. Penso che quando si scrive, alcune cose riescono perché c’è qualcosa. L’ispirazione è un miracolo assoluto e incontrollabile.