Agorà

CINEMA. «La vita vince, oltre l'orrore»

Luca Pellegrini lunedì 21 gennaio 2013
Nel 1943 Leopoli, in Polonia – come gran parte dell’Europa – è invasa dai miasmi dell’odio. Sotto il giogo nazista l’odore della morte si sparge ovunque. Quella di Leopold Socha, operaio del sistema fognario e ladruncolo, è una storia vera: per denaro nasconde e sfama un gruppetto di ebrei nelle cloache del sottosuolo. Vi rimarranno, in condizioni estreme, per quattordici mesi. Alcuni si salveranno, mentre in superficie scorre il sangue. Con la moglie Wanda, Leopold – scomparso per salvare la figlia da un veicolo militare russo fuori controllo il 12 marzo 1945 – fa parte di quegli oltre seimila polacchi riconosciuti da Israele come "giusti tra le nazioni" e a tutti loro Agnieszka Holland, stimata e rinomata regista polacca, dedica il suo ultimo film In Darkness, sugli schermi dal 24 gennaio, anticipando così la "Giornata della Memoria" che si celebra domenica 27. Fatti ai quali era pervenuta molti anni fa. «Non avevo mai sentito parlare della famiglia Socha, anche se conoscevo centinaia di storie che si riferivano agli orrori di quei tempi» ricorda Agnieszka dagli Stati Uniti, prima di partire per la Repubblica Ceca dove si terrà la première di Burning Bush, una miniserie da lei girata sul sacrificio del giovane Jan Palach che nel 1969 si diede fuoco per protestare contro l’invasione sovietica della Cecoslovacchia, dove la Holland studiava cinema e provò anche i rigori del carcere. «Lo scrittore canadese David Shamoon – continua – lesse di loro su un quotidiano, rimase così impressionato da mettersi alla ricerca del libro di Robert Marshall Nelle fogne di Lvov, pubblicato in Inghilterra negli anni ’80. Ne comprò i diritti, scrisse una sceneggiatura e me la fece avere. Mi piacque molto e la trovai più vera e complessa di molti altri progetti cinematografici sull’Olocausto. Ma la accantonai, non volevo all’epoca rimanere bloccata altri tre anni della mia vita per la lavorazione e non m’interessava girare in inglese e "americanizzare" il film, perché doveva restare il più vicino possibile alla realtà, per far capire quanto fosse intollerabile. Alla fine si sono realizzate le condizioni che desideravo». Ci sono atti di eroismo e di sopraffazione, bambini indifesi che assistono all’orrore. Uno, quello di Chaja, nasce addirittura nelle fogne e, come dice un’altra donna, è il "nostro" bambino.È Klara a dire quelle parole, vuole esprimere una solidarietà ideale. Ma la verità è assai più dura: sente la responsabilità collettiva. Mi ha fatto ricordare una situazione simile che ho personalmente vissuto, quando la famiglia di mio padre era nascosta nel sottotetto e una zia soffocò il bambino appena nato perché, piangendo, avrebbe potuto attirare i nazisti. Sì, alla fine tutti i bambini sacrificati sono "nostri", perché tutta l’umanità è responsabile di quelle tragiche morti. Lei nasce da padre ebreo e madre cattolica.Sicuramente questa doppia identità, in un paese come la Polonia del dopoguerra, ha forgiato la mia sensibilità. Guardo sempre la vita da questa duplice e diversa prospettiva. È forse questo che rende tutti i miei film delle storie complesse, anche perché detesto gli stereotipi e me ne tengo alla larga.C’è un’immagine particolarmente forte nel film: si sentono le preghiere cristiane provenire da una chiesa in superficie mentre vediamo il gruppetto di ebrei intonare i loro salmi nell’oscurità.  Mi affascinava l’idea di come le persone possano essere così diverse e allo stesso tempo così simili. Sono situazioni realmente accadute e che per me conservano ancora oggi una forza simbolica potente.  È stato difficile girare «In Darkness»?Credo sia stato il film più faticoso della mia carriera: abbiamo lavorato nelle vere fogne, nel corso di un inverno estremamente freddo e in condizioni produttive molto dure. Sentivo anche una forte responsabilità, perché sapevo bene che non sarebbe stato facile proporre al pubblico un’altra storia sull’Olocausto. Però, ho capito che era importante raccontarla oggi e soprattutto alle giovani generazioni, risvegliando un moto di empatia.«Europa Europa», uno dei suoi maggiori successi, è del 1990, «In Darkness» nel 2011: è cambiata la sua percezione del Continente? Sono personalmente convinta che la situazione oggi in Europa – con i nazionalismi, l’antisemitismo, i movimenti neonazisti e il diffondersi del virus di un odio irrazionale – sia assai più pericolosa che vent’anni fa, amplificata anche dalla crisi economica, dalla crisi della Democrazia. Inoltre, le persone che possono ancora ricordare la lezione della Seconda Guerra Mondiale stanno scomparendo. Per questo l’Europa può facilmente crollare e aprire le porte al peggio.Zanussi e Wajda sono stati i suoi due maestri: che cosa le hanno insegnato?Wajda l’amore e la gioia per il cinema. E che ogni film della tua vita è come se fosse il primo. Zanussi, che il cinema è soltanto un piccolo frammento della vita; che la scienza, la filosofia, la politica, la religione sono più importanti, ma che noi, poveri pazzi, non possiamo essere felici senza questa sciocca occupazione.