Agorà

In confessionale/5. Chiese aperte per l'ascolto

Roberto I. Zanini domenica 1 novembre 2015
L’idea è curiosa. Se a lanciarla non fosse un professore di Teologia fondamentale potrebbe sembrare uno slogan piuttosto che un vero e proprio progetto pastorale. Ma per Armando Matteo, docente all’Urbaniana e autore di numerosi libri sulle problematiche giovanili (anche se il saggio in prossima uscita per Rubbettino, Longevità è dedicato agli anziani) non ci sono dubbi. Le nostre parrocchie, i nostri conventi e monasteri devono dedicare più tempo all’ascolto. Anzi, parlando di confessione, «ogni parrocchia dovrebbe istituzionalizzare un vero e proprio Confession Day, a cadenza settimanale o mensile, in cui i sacerdoti si mettono totalmente e solamente a disposizione dei fedeli che vogliono confessarsi, ma anche delle persone che hanno bisogno di dialogare, di confrontarsi, di avere qualcuno che li accoglie, li ascolta e sia capace di condurli a esplorare le profondità del loro cuore indicando loro la strada dello Spirito, con particolare attenzione alle esigenze dei giovani». I giovani hanno davvero così bisogno di essere ascoltati? «Confrontandosi con loro si scopre che il valore al quale tengono di più è il rispetto: dare rispetto e avere rispetto per le scelte personali. Hanno un enorme bisogno di essere ascoltati e compresi. Nemmeno in famiglia lo sono, con i genitori per lo più preoccupati di soddisfare i loro bisogni immediati. La scuola non li valorizza singolarmente, ma offre modelli standard spesso stantii. La società, nel suo complesso, li vuole incasellare in modelli commerciali falsamente liberatori, che richiedono consumatori acritici e perennemente insoddisfatti». A questi modelli ci si oppone con l’ascolto? «Sì. Del resto Gesù Cristo ci mostra un Dio che ha attenzione per ognuno, avendone a cuore la sua realizzazione. Non è un Dio che ama tutti in generale, ma un Dio che ama ciascuno. Il Dio che conosce il numero dei capelli che sono sul nostro capo è quello che lascia le 99 pecore per cercare quella perduta. È il Dio che entra nella mia storia. Questa è la provocazione del Vangelo». C’è da chiedersi se le nostre chiese sono adatte? «Anche perché la stessa catechesi spesso continua a presentare un Dio più interessato al rispetto delle regole che non alla singolarità di ognuno. Si tratta di un deficit teologico-evangelico che ci trasciniamo dietro da secoli». Con tutti i luoghi comuni sulla Chiesa di cui è pieno il pensiero della gente. «Sono immaginari ideologici non facili da smaltire. In C’è campo (Marcianum Press) il sociologo Alessandro Castegnaro sottolinea che per la gran parte dei giovani il cristianesimo si riduce a una montagna di divieti. A questo poi dobbiamo aggiungere che è pressoché svanita la percezione del peccato. È possibile tutto ciò che si può sperimentare. Ormai è peccato solo quello che incide negativamente sulla nostra salute, il fumo del vicino o certi alimenti poco salutari che ci propinano. È un peccato non aver approfittato di una certa occasione o il non aver colto in tempo l’offerta speciale. Nessuno è più disposto a rinunciare alla libertà di fare quello che vuole pur rendendosi conto di non essere mai davvero libero. E poi c’è il politicamente corretto che ha praticamente cancellato tutto ciò che fa riferimento all’esistenza di una legge naturale». Anche la libertà è diventata un bene di consumo? «Il capitalismo l’ha trasformata in un bene di consumo, con tutte le conseguenze del caso. Ma il paradosso è che per l’annuncio evangelico, questo può essere un vantaggio, perché anche Gesù ci dice che, se vuoi, puoi fare, se vuoi puoi diventare. Da qui la necessità di insistere di più sul volto misericordioso e paterno di Dio, che è contento della mia felicità e della mia libertà perché sono suo figlio. Non è un caso che il più grande teologo contemporaneo, Benedetto XVI, ha scelto di iniziare il suo pontificato con una lezione sul vero volto di Dio, Deus Caritas est, per dirci che questa è la strada smarrita che dobbiamo riprendere». Una iniziativa come il Confession Day è su questa strada? «L’accoglienza e il dialogo avvicinano. Rompono con un modo di fare Chiesa lontano dalla freschezza del Vangelo e che rende difficile ai giovani comprendere a cosa serva questa fede, questo cristianesimo». E come si avvicinano i giovani al confessionale? «Allo stesso modo. Ho sempre in mente le file di ragazzi che vogliono confessarsi alle Gmg. Ma la cosa che più mi commuove in quelle immagini è la quantità di sacerdoti, che anche all’aperto e sotto il sole, erano lì pronti ad accogliere. Se si dà disponibilità i giovani rispondono anche su questo. Ma oggi dov’è questa disponibilità? Nelle nostre parrocchie non si vede niente di tutto questo. Le nostre chiese non hanno ancora deciso di riservare le loro forze migliori per i giovani, per le famiglie giovani». Insomma, una volta alla settimana preti pronti al dialogo e confessionali aperti... «Già lo si fa con successo in tanti monasteri, come a Camaldoli e a Bose, dove un giorno alla settimana, a questo scopo, i monaci sono lasciati liberi da altri impegni e disponibili all’ascolto e alla confessione di chiunque. E ai giovani servono voci autorevoli, diverse da quelle dei genitori e degli amici: voci che non ci sono. In questo senso sarebbe bello creare sinergie fra le parrocchie e i monasteri per consentire al desiderio di ascolto di tante persone di giungere a compimento. Si può anche dare vita a forme di preghiera specifica, perché la preghiera, quella vera, è dialogo e ascolto. Anzi, non c’è strumento più idoneo della preghiera per affrontare le delusioni della vita». Ascolto, preghiera e confessione? «Nelle nostre parrocchie dobbiamo inventare spazi innovativi per realizzare questo. Anche la domenica può essere adatta. Del resto se c’è qualcosa che il mercato teme è proprio l’esperienza della domenica, cioè l’esperienza della riconciliazione, in Dio, con i nostri desideri. La riconciliazione con se stessi è un grande antidoto alle sirene alienanti del mercato. Le persone rasserenate e riconciliate con la vita sono meno disposte agli egoismi narcisistici e al consumo compulsivo. La domenica dona un respiro lungo, la capacità di attendere, di non soddisfare i desideri in bisogni da soddisfare subito».