Agorà

Giro d'Italia. Da Gino a Chaves, scalatori si nasce

PIER AUGUSTO STAGI giovedì 19 maggio 2016
Sono i più amati, seguiti e inseguiti. Piaccia o no, la differenza la fanno sempre loro: gli scalatori. I ciclisti che scelgono solo e soltanto di fuggire, salire, scalare e procedere sempre all’insù, senza guardarsi mai alle spalle. Sono loro gli uomini che sanno fare la differenza in montagna, sulle grandi cime del Giro, su quelle vette divenute col tempo iconografia ciclistica monumenti naturali sui quali si sono elevati, innalzati e proiettati i nostri beniamini nel mito. Sono trapezisti del pedale, che volteggiano sulle loro biciclette in cima alle montagne, sfiorando il cielo e lo fanno anche loro senza rete, gettandosi giù «a tomba aperta» - come scriveva Mario Fossati - lungo discese ripide e tortuose, prima di tornare a salire e a sbuffare, stantuffando vorticosamente le loro leve. C’è chi lo fa seduto sulla sella, con rapporti lunghi e chi saltellando sui pedali con agilità. E chi alterna lunghe accelerazioni a rabbiose progressioni: come il sudafricano bianco Chris Froome, l’uomo delle “frullate”. Gli scalatori sono una razza speciale e protetta; aquile che planano nei cieli. Uno dei più amati e da molti considerato il più grande scalatore di tutti i tempi è Marco Pantani, che in salita aveva trovato il suo habitat naturale. A chi un giorno gli chiese perché andasse così forte, cosa lo spingesse a scattare subito con una bulimia che lo rendeva unico, lui rispose secco: «Per abbreviare l’agonia». Charly Gaul è considerato con il “Pirata” il più grande specialista e lo stesso piccolo corridore lussemburghese, che seppe vincere due Giri e un Tour sul finire degli Anni Cinquanta, considerava il Pirata grande, grandissimo «più del sottoscritto, o almeno quanto me». Poi ci sono i leggendari, Gino Bartali e Fausto Coppi, che però non possono essere considerati semplicemente scalatori, ma molto di più, molto di meglio. Ma tra i grandi “grimpeur” della storia ci sono sicuramente Federico Bahamontes, Luis Fuentes e Luis Ocana: tutti spagnoli, tutti fortissimi. Qui al Giro d’Italia, dove in lontananza si cominciamo a intravedere le grandi montagne, questi piccoli eroi scaldano i motori. Tra questi c’è senza ombra di dubbio Esteban Chaves, colombiano come il Nobel per la letteratura Gabriel Garcìa Marquéz, scalatore purissimo, che dalle sue parti quelli con le sue stimmate vengono chiamati “Escarabajo”. Scarabeo: in questo caso quello stercorario, che tenacemente trascina la sua palla di sterco. Scalatore puro, purissimo.  Cresciuto a Bogotà 2.640 mt di quota, ora abita a Tenjo, a 15 minuti dalla capitale, con i genitori Jairo e Carolina Rubio e il fratello Brayan. «La mia scuola è stata la strada. Dove ho imparato ad andare in bicicletta. Ma per fare il corridore sono dovuto venire in Italia - ci racconta -. Sono venuto da voi nel 2012. Vivevo a Curno, in provincia di Bergamo, con altri colombiani. Ci allenavamo, facevamo la spesa, cucinavamo. Claudio Corti (ex professionista e fino ad un anno fa team-manager della Colombia, vivaio voluto dal ministero dello sport colombiano, ndr) mi ha trasmesso l’amore per il Giro d’Italia, una corsa bellissima. Amo il Giro per le sue salite». È qui per vincere il Giro e non ne fa mistero. Lo dice con quel suo sorriso che sprigiona serenità, non competizione: ma la battaglia. È un uomo che ha fiducia nella vita, ma soprattutto fede. «Questo crocefisso che porto al polso - ci mostra - me l’ha regalato un anno fa la mia fidanzata Natalie. Sua mamma è andata al Santuario della Madonna della Salute a Boyaca, l’ha bagnata nell’acqua benedetta e me l’ha donata. Da allora è sempre con me, al mio polso. Mi accompagna nella vita. Mi rende più sereno. Se sono praticante? Non molto o meglio poco, ma credo in Dio e parlo con lui. Mi piace tantissimo papa Francesco: è una bella persona. Per i giovani è bello averlo come punto di riferimento. Un Papa rivoluzionario. La grande speranza per tutto il Sudamerica e del mondo». Esteban parla bene tre lingue: spagnolo, italiano e inglese. Ama la sua terra. E nella sua terra, come in tutto il Sudamerica, ognuno ha il suo nickname, un soprannome, che è frutto dei suoi tempi. «Il mio è El Chavito de Bogotà, da un programma televisivo comico messicano “El Chavo del 8”. El Chavito è lo scalatore più puro che ci sia al Giro, al pari del nostro Domenico Pozzovivo, o di Manuel Bongiorno. I suoi favoriti per la vittoria finale? «Nibali e Valverde, ma occhio al russo Zakarin e a Majka». Le grandi montagne si avvicinano e assicura: «Ci divertiremo. Firmerei per un podio? Sono qui per questo, ma devo andare bene in salita, devo scalare un po’ di posizioni». Parla proprio da scalatore.