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Anticipazione. La regista Cavani: un papa come il mio Francesco

Liliana Cavani mercoledì 8 marzo 2017

La regista Liliana Cavani (Ansa)

Ferzan Özpetek e Javier Zanetti. Steve McCurry e Oscar Farinetti. Serge Latouche e Michela Marzano. Bebe Vio e (poco prima della scomparsa) Zygmunt Bauman. Gustavo Gutiérrez e Domenico Quirico. Ghislain Lafont e Derrick de Kerckhove. Sono alcuni dei prestigiosi nomi che partecipano all’antologia di testimonianze “Francesco e noi”, appena raccolta dal giornalista Francesco Antonioli per Piemme (pagine 312, euro 17,50). Cinquanta personalità della cultura internazionale o personaggi comunque celebri dettano a ruota libera i loro pensieri su Papa Bergoglio, allineando di volta in volta «Emozioni», «Dubbi e certezze», «Gioia», «Economia e poteri», «Città, paesi, mondi» (così alcuni dei capitoli in cui i testi sono raggruppati). Interessanti – tra gli altri – gli interventi dei personaggi meno noti in Italia: come Guillaume Goubert, direttore del quotidiano cattolico francese «La Croix», o il monaco buddhista giapponese Shodo Habukawa, o la sindaco di Parigi Anne Hidalgo. In questa pagina proponiamo quasi integralmente il contributo della regista Liliana Cavani.

Papa Francesco viene 'da lontano' e fa una scoperta sconcertante! Mostra di avere scoperto e di amare la lingua semplice del testo del Vangelo e lo cita alla lettera, senza dotti commenti, ma così com’è. Usa direttamente le frasi di Gesù Cristo (del resto non è il suo 'vicario'?). Gli siamo molto grati per questo! Non fa giri di parole, non nasconde che il Vangelo è un testo forte, fortissimo e tanto chiaro. Emerge dal Vangelo una visione del creato meravigliosa: siamo tutti creature di Dio, compresi i gatti, i cani, i fiumi, gli alberi, i cinesi, i russi, gli africani… Un messaggio per tutti gli esseri, tutte le creature di Dio, pure Sorella Morte, come la chiama san Francesco che la accoglie appunto come una sorella. Dobbiamo essere grati a questo papa perché ci sta riportando vicino a Gesù Cristo, al 'nostro posto' accanto a lui. Dobbiamo essergli grati perché ha rimesso il Vangelo al centro della Chiesa, anzi al posto principe di una Chiesa che era un po’ troppe altre cose. Per questo Bergoglio ha voluto chiamarsi Francesco, il santo dato per 'carino' e ingenuo nel corso dei secoli. Ma a capirlo fu Dante, il poeta più grande del mondo e possiamo fidarci.

Francesco è 'riscoperto' al vero solo verso la fine dell’Ottocento da studiosi come Paul Sabatier (calvinista) medievista che scrive una Vita di Francesco bellissima nel 1896, presto messa all’Indice. Ho fatto il primo film di Francesco stimolata proprio da questo libro bellissimo, che mi è capitato tra le mani per caso. Stia attento papa Francesco: potrebbe finire 'all’indice' anche lui ed essere poi 'scoperto' tra 5 o 6 secoli.

Di fatto il Vangelo è sempre stato 'rivoluzionario' nel senso più semplice e bello del termine, a indicare un auspicio, una comunicazione bellissima sul senso della vita: sei il fratello minore di Gesù Cristo, sei compreso nella fraternitas universale, sei unico e prezioso per Dio. L’universo è stato creato anche perché tu potessi esistere e potessi essere amato.

«Passare dalle parole ai fatti!». Ricordo questo grido lanciato da più di un predicatore nel corso di vari scioperi. Il sindacalista di turno si riferiva al 'padrone'. Gesù Cristo non è un padre padrone, eppure per secoli la Chiesa per la maggior parte del tempo si è sentita 'padrona'. Per questo papa Bergoglio si è defilato dal Palazzo e vive in una casa normale. Questa scelta è uno dei primi discorsi di papa Bergoglio, un fatto che pare abbia fatto arrossire alcuni cardinali e anche incavolare altri cardinali o prelati di rango.

D’altra parte, cadute le ideologie comuniste, l’ideologia che è emersa in tutta lucidità è l’ideologia del mercato. Papa Bergoglio certo non può scordare quanto poco Gesù amasse i mercanti. Non perché non dovessero esserci, ma perché mescolavano il sacro con il profano. Papa Wojtyla si è battuto tenacemente contro la dittatura sovietica, ma papa Bergoglio non ha un nemico più facile: 'l’ideologia del mercato', un’ideologia subdola come le malattie nascoste. La parola 'mercato' evocava la festa, la fiera, lo scambio… Adesso ci appare meno festoso. C’è una situazione mondiale intricatissima, spesso con apparenze diverse dai fatti. La parola 'mercato' appare quasi come una testa di Medusa, che significa 'mistero' e non è facile avvicinarla e domare la sua energia. Papa Bergoglio è l’eroe che tenta di affrontare, di umanizzare, moralizzare questo vortice.

L’ideologia del 'mercato' si è sovrapposta in gran parte del globo (Urss, Europa del-l’Est, Cina, eccetera) a culture politiche declinanti, alcune non democratiche, chiuse dentro ad arretratezze antiche, ferme all’idea di un’autorità centrale e a una concezione del diritto immatura. Il mondo dell’Occidente è più avanzato, ma stenta a gestire un’economia di mercato che è diventata la spinta principale della politica di molti paesi. Aumentare il patrimonio nel modo più speculativo è diventato un merito. Se ciò può provocare sofferenza poco importa. Basta vedere le difficoltà che in- contra l’Unione Europea a darsi una gestione economica valida per i problemi dei Paesi membri.

Le cento persone più ricche della terra pubblica di anno in anno il Time. Quanti vi aspirano! Accumulare è un vanto e la dimostrazione più formidabile di intelligenza. In realtà a ben guardare molte ricchezze sono l’esito di politiche economiche rozze, autoritarie, sostenute da speculatori spregiudicati. Sono cresciuta ai tempi dei sit-in con la musica rock inglese e americana, quando si riusciva a credere che la vita di ciascuno valeva più del denaro. Forse per quello ho fatto tre film su san Francesco. Forse per sognare un mondo come quello che aveva in testa l’autentico Francesco, quello della Leggenda dei tre compagni, un testo scritto dai suoi primi tre seguaci. La vita potrebbe essere più simile a una festa fra amici che a un episodio drammaturgico che si ripete nei secoli e quasi sempre senza lieto fine.

Nel tempo da me vissuto, a darci la sveglia sono stati soprattutto tre papi: Wojtyla, Ratzinger, Bergoglio. Il papismo sempre dato per moribondo «perché ormai fuori dalla storia», mostra negli ultimi trent’anni di essere una centrale di attività politica ed economica. Parlo come se fossi una papista? Non lo so. Ho fatto un film su De Gasperi e ho appreso molte cose del suo pensiero, della sua integrità politica, la tensione che ebbe con il papa suo contemporaneo. I papisti di allora non furono amici di De Gasperi, perché distavano qualche secolo da lui. Infatti il tempo vero non è mai quello del calendario comune, ma quello della Storia. De Gasperi era più vicino a san Francesco e pertanto più vicino a san Paolo e san Pietro.

C’è come un filo che lega tra loro certe persone in una metastoria del sapere, quello vero. De Gasperi è convinto della potenza sempre attuale del Vangelo, convinto della sua importanza sociale e benefica. 'Ne è persuaso e pervaso' come lo furono di sicuro Paolo e Pietro quando arrivarono a Roma (anni 40-50 d.C.). In quel momento Roma è al massimo del suo potere. Dalle varie conquiste di popoli arrivarono a Roma culti di vario genere. Arrivano vari saperi di culture diverse, è il centro nevralgico di un impero vastissimo.

Neppure New York è paragonabile alla Roma di quel tempo. Paolo e Pietro non arrivano come delle star, al contrario come due stranieri tra i tanti che vengono a cercare fortuna. Parlano e creano contatti. Si dicono 'emissari di Dio', del Dio vero e unico. A Roma ce n’erano già parecchi di dei. Eppure. Contattano in primis soprattutto schiavi e gente trascinata o venuta in cerca di fortuna. È incredibile che riescano a fare breccia in quella metropoli presentando un Dio che non è antico, non è importante né conosciuto e pure 'morto' e per di più in croce e ad opera di soldati romani! Cioè il massimo del dispregio. Ci volevano una ingenuità e una sprovvedutezza incredibili, una fede davvero 'prodigiosa'. In quel caos metropolitano, incrocio di lingue e culture, tra una giungla di culti, Pietro e Paolo riescono a seminare il Vangelo, il suo senso, una visione della vita che sconvolge ogni altra visione, ogni altro senso.

Mi ha sempre stupito il pensiero di questo 'inizio' a Roma antica. Vivo sul lungotevere, vedo in lontananza qualcosa del Palatino, luogo del culto ai Cesari e luogo del Senato. La politica per Roma era sacra. Il loro Dio non era in un luogo e in un tempo metafisico. Pietro e Paolo riescono a seminare il Vangelo perché lo testimoniano con una visione della vita nuova, nuovissima, piena di senso. E così fece Francesco di Bernardone camminando nei paesi dell’Italia centrale. E papa Francesco fa uguale. Possibile? Possibile seminare lo stesso messaggio in tempi tanto distanti? La stessa visione della vita? A Roma nel 40-50 d.C., nel 1200 ai tempi di Francesco, nel 2017? È così. Andremo su Marte e sarà necessario portarsi il Vangelo.