Agorà

Anticipazione . Julián Carrón, realismo e speranza

Marina Corradi domenica 15 ottobre 2017

Julián Carrón

È possibile ancora, dentro al mondo ampiamente scristianizzato in cui viviamo, cercare e trovare Cristo? Nel sovrapporsi di fedi diverse o di nessuna fede, nell’allargarsi di un inconsapevole nichilismo, nella distratta lontananza di tanti, è possibile ancora ai cristiani contagiare l’amore per il loro Dio, e come? Attorno a questa domanda scorrono le duecento pagine della conversazione di Andrea Tornielli con Julián Carrón Dov’è Dio? La fede cristiana al tempo della grande incertezza in uscita per Piemme (pagine 216 , euro 15,90) e che sarà presentata nell’aula magna dell’Università Cattolica di Milano giovedì alle 21.00 dagli autori e da Adolfo Ceretti, Mauro Magatti ed Elisabetta Soglio. Un dialogo esigente e sincero fra il giornalista che ha da poco intervistato il Papa e il responsabile di Comunione e Liberazione, teso a disegnare lo sguardo con cui il Movimento osserva questo momento storico, la Chiesa e la situazione della fede. Sguardo che in Carrón è fatto di realismo e di speranza assieme, antico binomio della forma mentis cristiana. Realismo, perché niente della realtà sia censurato, e speranza, perché non siamo stati lasciati soli da Dio in questo mondo. Che poi, osserva Carrón, è un mondo non molto peggiore da quello in cui nacque Cristo, quando gli stessi ebrei erano divisi fra farisei, zeloti, esseni e altre correnti, e l’Impero romano avanzava col suo pantheon di divinità pagane. Nel multiculturalismo insomma il cristianesimo è nato, ed è anzi questo tessuto, secondo Carrón, una occasione perché risalti la radicale diversità del suo annuncio. Siamo molto lontani dunque da certo tradizionalismo che piange i bei tempi antichi: dalle risposte a Tornielli esce uno sguardo sul presente fiducioso e denso di fede viva. Su una fede che ogni giorno può ricominciare.

In che modo? La domanda è l’asse portante del libro. Carrón parte dalla Dei verbum del Concilio Vaticano II e passa per Benedetto XVI, quando a Fatima nel 2013 disse che oggi la fede «molto difficilmente potrà toccare i cuori mediante semplici discorsi o richiami» e invece «ciò che affascina è soprattutto l’incontro con persone credenti, che mediante la loro fede attirano verso la grazia di Cristo, rendendo testimonianza di lui». Dunque, come disse ancora Benedetto e come ripete Francesco, il cristianesimo «non si fa per proselitismo, ma per attrazione».

L’attrazione di una verità che non ha bisogno se non della sua nuda bellezza per dimostrarsi, e cui non occorre quindi alcuna egemonia politica o culturale. Perché, però, al livello dell’Io del singolo, la provocazione sia recepita, è necessario il gioco della libertà. Occorre prima di tutto, afferma il sacerdote spagnolo, che un uomo avverta il dramma della sua incompiutezza, e dunque percepisca dentro di sé una ferita. Che non la neghi, e non la anestetizzi, che la lasci aperta. (E viene in mente il Péguy del Portico del mistero della seconda virtù, che scriveva: c’è qualcosa di peggio di un’anima cattiva, è un’anima abituata). Occorre essere gente dallo sguardo umile. Carrón: «Il giorno in cui non ci rendessimo più conto della nostra infermità e della nostra miseria [...] non avremmo più bisogno di Cristo».

Con quale cifra parlare a gente non più, nel suo humus, cristiana, ma allontanata, dimentica e a volte anche disperata? Sem-È plicemente con quella della misericordia – cioè l’amore viscerale, materno di Dio che si china su ciascuno di noi, e tocca veramente il cuore umano. “Misericordia” è la parola su cui Francesco torna dai primi giorni del suo pontificato, e a cui ha dedicato un Anno santo di porte di chiese spalancate, perché chiunque vi si sentisse convocato. E questo non è che un ritorno al primo cristianesimo, secondo Carrón, quando Cristo affascinava e convertiva i pubblicani, i reietti, guardandoli come nessuno li aveva mai guardati. Affascinava i lontani, che sussultavano alla sua pietà, e scandalizzava i “giusti”, i farisei. Non è in qualche modo ciò che vediamo accadere oggi, in aspre divisioni interne alla Chiesa stessa, mentre un cristianesimo integralista accusa il Papa di eresia? Borbottando poi contro certa misericordia “buonista”. Buonista per niente, argomenta Carrón, che annota come solo in quello sguardo di Cristo la Samaritana e l’adultera rinacquero. Rinacque il pubblicano Zaccheo, quando, come scrisse magistralmente Agostino, «fu guardato, e vide».

Nella lunga conversazione il responsabile di Cl non si sottrae a domande sulla sua vita, sulla successione a Giussani, sul Movimento e gli interrogativi e le inquietudini che lo percorrono. Il richiamo a Giussani è sempre preciso e forte, come a una colonna portante. Anche in certe parole che alcuni forse hanno dimenticato, come quando, ricorda Tornielli, riferendosi alla Action français di Maurras, che agli inizi del secolo scorso voleva rifondare il mondo secondo i valori cristiani, Giussani disse nel 1982: «Ma non era fede: la fede è solo questo [...]: l’apertura energica alla presenza di Cristo».

Oltre alle divisioni che si alzano nel mondo cattolico, e che forse in realtà interessano pochi, il filo conduttore del dialogo è però sempre teso verso gli “altri”, verso quell’ampia parte di uomini che non sa più nulla del Dio cristiano. Senza alcun pessimismo Carrón ci ripete che siamo come ai tempi degli inizi, citando il fondatore di Cl. Giussani infatti scriveva: «Il mondo di oggi è riportato alla miseria evangelica: al tempo di Gesù la domanda era come fare a vivere, e non chi avesse ragione; questo era il problema degli scribi e dei farisei». E «come si fa a vivere» è la domanda che autenticamente pervade il nostro tempo: soffocata a volte nella distrazione, o affilata nella disperazione di chi non trova più un senso. L’occasione, secondo Carrón, per tornare alle radici vere della fede in Cristo. Per trasmetterla: non con parole, ma con uno sguardo, “quello” sguardo. Perché, come profetizzò Emmanuel Mounier e come ricorda Tornielli, «il portiere della storia non ascolterà i vostri argomenti, guarderà i vostri volti».