Agorà

Mexico 70. Nicolò Carosio e quell'insulto mai pronunciato

Massimiliano Castellani venerdì 20 ottobre 2017

L'arbitro italiano Nicolò Carosio

Il più leggendario incidente diplomatico del dopoguerra tra l’Italia e l’Etiopia scaturì da una partita di calcio, ai Mondiali di Messico 1970. Protagonisti del fattaccio: il “papà” delle radiotelecronache del nostro calcio, Nicolò Carosio, e il guardalinee etiope Seyoum Tarekegn. Il principe dei narratori al microfono delle gesta degli azzurri di Ferruccio Valcareggi venne accusato di aver apostrofato in diretta (Rai) il signor Tarekegn dandogli del «negraccio», dopo che il guardalinee nordafricano, al 29’ del secondo tempo, aveva annullato un gol a Gigi Riva. Quella svista chiuse la sfida con gli israeliani sullo 0-0, anche se poi quella Nazionale si arrese solo in finale al Brasile di Pelè è passò alla storia per la “partita più lunga del secolo”, la semifinale con la Germania vinta – ai supplementari – 4-3. Ma il grande sconfitto di Messico 70 fu solo lui, Nicolò Carosio.

Dopo trentotto anni di onorata carriera, passando per gli stadi di tutto il mondo da monumento nazionale della Radiotelevisione di Stato, il prode Nicolò venne di fatto “epurato” dall’allora direttore generale della Rai Ettore Bernabei, il quale, al posto del “maestro” palermitano mise l’allievo prediletto, Nando Martellini. «In un’intervista che Bernabei mi concesse ci teneva a sottolineare che “quello con Martellini fu un normale avvicendamento professionale...” Ma non era affatto vero. Dal ’70 e fino alla morte – avvenuta a 77 anni nel 1984 – Carosio non avrebbe più fatto le telecronache della Nazionale ai Mondiali. Divieto di seguire quelle maglie azzurre che, con enfasi e passione patriottica, aveva seguito per la radio fin dal capodanno del 1933 trasmettendo Italia-Germania (amichevole allo stadio Littoriale di Bologna che anticipava su un campo di calcio il “Patto d’acciaio”). Una punizione eccessiva quanto infondata per quella voce unica che aveva raccontato i trionfi mondiali dell’Italia di Vittorio Pozzo nel 1934 e nel 1938 e l’oro olimpico (rimasto unico anche quello) di Berlino ’36». È la testimonianza di un’altra voce storica della radiotelevisione (Rai e Mediaset), Massimo De Luca, che del “caso Carosio” si era già occupato nel 2009 durante la trasmissione la Domenica Sportivadi cui era conduttore. Su quella che considera «la prima fake news del calcio e dello sport italiano » De Luca è poi tornato nel 2010 con un capitolo del saggio Sport in tv. Storia e storie dalle origini a oggi (Rai Eri, scritto a quattro mani con Pino Frisoli) e ora con uno spettacolo teatrale, Quasi goal. «Sul palco inizio il mio racconto recitando il provino che Nicolò Carosio sostenne all’Eiar nel 1932. Sto imparando a memoria le formazioni della Juventus e del Torino che furono le protagoniste della sua radiocronaca di pura fantasia, assolutamente straordinaria... La commissione giudicante, lo interruppe sul 5-5, folgorata dal talento di quello che resta un punto di riferimento esemplare per tutta la nostra categoria». Giornalista fenomenale, completo, dotato di una voce stentorea e un ritmo quasi musicale, probabilmente ereditato dalla madre, la pianista inglese Josy Holland. Per assecondare il volere paterno, funzionario di dogana, si era laureato in Giurisprudenza all’Università di Venezia, città da dove in treno era arrivato a Torino negli studi dell’Eiar che in cambio di quella prima eccellente prova gli diede «250 lire di rimborso spese, di cui 10 alla voce “generi di conforto” », sorride De Luca completamente calato nella parte di attore-narratore che dalle tavole di un teatro intende cancellare una volta per tutte l’onta razzista che ha accompagnato per decenni l’effigie di Carosio.

«Nello spettacolo portiamo altri documenti decisivi a scagionarlo. Carosio si era limitato al seguente commento: “Ma siamo proprio sfortunati, a parer nostro non è fuorigioco e Riva aveva segnato regolarmente al 29’. Indubbiamente ci sia consentito di parlare di sfortuna che perseguita gli azzurri». Il profeta del “quasi goal” durante Italia- Israele non era quindi andato oltre un civilissimo «etiope» per indicare l’anonimo, fino ad allora, Tarekegn. «Suo strenuo difensore della prima ora fu Enzo Tortora. Altro “epurato” da Bernabei che gli tolse la conduzione della Domenica Sportiva dopo un’incauta intervista rilasciata al settimanale “Oggi” in cui Tortora con il suo classico piglio critico disse: “Oggi la Rai è un jumbo pilotato da boy scout”. Nell’articolo difensivo pubblicato dal “Resto del Carlino” Enzo scrisse: “Se avete fatto fuori Carosio, allora la Rai non deve più trasmettere l’Aida di Giuseppe Verdi visto che il librettista Antonio Ghislanzoni fa cantare quel “Già corre voce che l’etiope ardisca sfidarci ancora”». Un assist, allora non raccolto, arrivò anche dall’istrionico Carmelo Bene che scrisse una lettera aperta pubblicata dall’“Unità”. «Da calciofilo, Carmelo Bene era milanista-riveriano amante della zona mista della Roma di Nils Liedholm. Attaccò parlando di Carosio che forse non aveva trattato con il dovuto riguardo la terna arbitrale, “non diede mai del ’signor’ – come si usa fare ai direttori di gara – a Seyoum Tarekegn”, salvo poi offrirci la chiave di lettura dell’arcano quando dice: “Alla radio nel dopo partita ho sentito parlare di vendetta del Negus contro l’Italia” – continua De Luca – Apriti cielo, il misfatto non era accaduto in telecronaca ma alla radio, quindi cosa c’entrava Carosio? Niente». La conferma che responsabile dell’incidente fosse la radio la diede anche un ingegnere etiope residente in Italia che con garbo scrisse al “Messaggero”: «Ma per una partita di calcio, si può rivangare alla radio la storia della guerra d’Africa?».

La risposta all’ingegnere etiope, ieri come oggi, è scontata: no. Mentre non lo è affatto la domanda che va avanti da quasi mezzo secolo: se tutto accadde alla radio, e quindi lontano dalla postazione di Carosio, chi innescò l’incidente? La risposta la fornisce l’esperto Pino Frisoli: «Sfatata anche la leggenda che fosse stato Enrico Ameri nella sua radiocronaca. Il tutto avvenne nella tribuna stampa radiofonica del giornalista Mario Gismondi che dopo Italia-Israele intervistava le prime firme dei giornali. Le registrazioni di cui disponiamo ci dicono che un insospettabile come Antonio Ghirelli (direttore del “Corriere dello Sport”, del Tg2 e portavoce del presidente della Repubblica Sandro Pertini) al termine di quella partita avrebbe commentato: “Vista come è finita la partita credo si possa anche scherzare e definirla come come la vendetta del Negus. Innocua, incruenta, ma noi andiamo avanti”. E dopo Ghirelli, sempre dalla tribuna stampa della radio, proseguì Eugenio Danese, giornalista del “Tempo”, inventore della “zona Cesarini”e delle prime statistiche calcistiche, che si lasciò sfuggire: “Non vogliamo essere cattivi ma il guardalinee era etiope, dunque un africano...”».

Il presunto fascismo e le accuse di razzismo di Carosio, anche se fuori tempo massimo, crollano clamorosamente. E anche in maniera farsesca, perché le frasi “forti” vennero pronunciate da due giornalisti assolutamente inattaccabili anche dal punto di vista ideologico. «La storia invece riletta a fondo ci dice che il guardalinee etiope non era proprio esente da macchie precedenti – spiega De Luca –. Per prepararsi ai Mondiali del Messico la nazionale di Israele era andata in ritiro in Etiopia e quindi è probabile che il signor Tarekegn fosse entrato in contatto con lo staff scandinavo. Di sicuro il suo arbitraggio nella partita Israele-Svezia (1-1) era stato tutto pro israeliani e gli svedesi infuriati lo avevano bollato come “scandaloso”». Di scandaloso in tutta questa storia però c’è soprattutto l’ingiusto allontanamento dalla Nazionale del suo primo aedo radiotelevisivo. Dalle colonne della “Stampa”, da dove era esploso il caso del “negraccio” («riportato in un trafiletto a firma di Paolo Bertoldi», ricorda Frisoli), giunse anche l’encomio di Giovanni Arpino prima dell’ultima telecronaca di Carosio trasmessa dalla Rai: l’amichevole tra rappresentative di Lega del Belgio e quelle dell’Italia. «Signore e signori, è Nicolò Carosio che vi saluta da Charleroi...». Era il 15 dicembre 1971, il giorno che di fatto usciva di scena il mattatore mediatico di cui Gaetano Afeltra ricordava: «Le cronache sportive di Carosio alla radio somigliavano più all’interpretazione di un grande attore per una prima teatrale che al racconto di una partita di calcio».