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FESTIVAL DEL CINEMA. Cannes con una fiaba riscopre la solidarietà

Alessandra De Luca mercoledì 18 maggio 2011
C’era una volta un festival, quello di Cannes, dove più i registi erano cinici e crudeli insistendo nel fotografare il lato oscuro dell’animo umano, più critici e giornalisti applaudivano soddisfatti. Come se il cinema, per essere preso sul serio, avesse il dovere di rimestare nel torbido. Quest’anno quel festival non esiste più. E così accade che una romantica storia d’amore in bianco e nero come quella celebrata ne L’artista (in concorso domenica scorsa) venga accolta con un entusiasmo spropositato e che la nuova favola gentile di Aki Kaurismaki, Le Havre, in gara oggi, faccia il pieno di applausi e risate a scena aperta.Abbandonata cinematograficamente la Finlandia per girare in Normandia, il regista ricrea in Francia il suo mondo popolato da piccoli epici personaggi, teneri e stralunati, per mettere in scena questa volta la storia di Marcel, un lustrascarpe ex bohémien (André Wilms), che vive felice in quel fazzoletto di città che va dalla stazione dove lavora al suo bar preferito e a casa sua dove ogni giorno lo aspetta premurosa la moglie Arletty (Kati Outines, attrice feticcio del regista). Che un giorno però si scopre gravemente malata e sceglie di non dire tutta la verità al marito.Un altro giorno l’uomo incontra un giovanissimo immigrato africano sfuggito alla polizia e decide di aiutarlo a raggiungere sua madre in Inghilterra. Armato di un innato ottimismo e senso di solidarietà, sostenuto dalle persone semplici del suo quartiere, Marcel dovrà combattere contro le leggi dello Stato e l’indifferenza delle istituzioni. Non solo riuscirà a trascinare dalla sua parte il temibile ispettore che insegue il ragazzo (un meraviglioso Jean Pierre Darroussin), ma verrà travolto da un vero e proprio miracolo quando i medici dichiarano misteriosamente guarita Arletty. Un finale che ha fatto letteralmente urlare di gioia la platea.Il cuore tenero del ruvido Kaurismaki viene però stanato a fatica durante la conferenza stampa, la più sgangherata e simpatica del festival. «È da quando ho dieci anni che la realtà mi delude – dice Aki – per questo fabbrico favole a lieto fine che celebrano l’aspetto più nobile degli esseri umani, quello che spinge all’amore e alla solidarietà, alla compassione e alla voglia di aiutare i più deboli». E a proposito dell’attualissimo tema dell’immigrazione aggiunge: «Mi sta molto a cuore, ma non posso offrire soluzioni. Avrei potuto ambientare questo film anche in altri paesi europei, tranne naturalmente la Finlandia e la Svezia, nessuno è così disperato da emigrare li. Le cause di ciò che accade oggi risalgono al periodo della colonizzazione in Africa ed è forse troppo tardi per poter rimettere le cose a posto. In questo momento storico l’Europa ha concretamente l’occasione per dare un aiuto importante, ma pare che ai politici importino solo camere d’albergo e Mercedes».