Agorà

INTERVISTA. Camorra, dalle plebi alla borghesia

Giovanni Ruggiero venerdì 7 maggio 2010
A Francesco Barbagallo, docente di storia contemporanea all’Università di Napoli, va il merito di essere stato tra i primi, se non il primo, a interessarsi di camorra, a partire dai primi anni ’80. Nell’ultimo libro Storia della Camorra edito da Laterza affronta l’argomento da storico per arrivare alla camorra dei giorni nostri. È guardando al passato che si può comprendere meglio il presente. Barbagallo fa capire la gravità del fenomeno. Lo abbiamo sentito.La camorra ha attraversato secoli e regimi, e resiste. Come è stato possibile?«Le organizzazioni criminali forti resistono a lungo, come la mafia siciliana. Di camorra si comincia a parlare presumibilmente solo dopo il primo quarto dell’Ottocento, perché non abbiamo documenti del periodo precedente. Questa camorra descritta da Monnier in qualche modo finisce con la Prima guerra mondiale. Queste organizzazioni resistono perché prima che con i regimi politici si rapportano con la società. La camorra napoletana è un fenomeno cittadino ed è periferica rispetto al potere. Viene usata dal potere, ma è in rapporti d’affari con i ceti sociali più elevati che se ne servono». La differenza con la mafia siciliana in cosa consiste?«La mafia ha sempre avuto una struttura verticistica, mentre la camorra è strutturata orizzontalmente. Nell’Ottocento in qualche modo c’era una struttura verticistica, esisteva un capintesta come Cappuccio o Tore ’e Criscienzo. È questa struttura orizzontale che definisce la camorra che dagli anni Sessanta-Settanta arriva fino ad oggi».Questa struttura orizzontale rende più difficile la lotta?«Non tanto, perché resta la grande potenza dei singoli clan. La camorra contemporanea è diventata una struttura di dominio in Campania. Nel corso dei decenni, dalla fine degli anni Sessanta ad oggi, è aumentato enormemente il suo potere economico e sociale e quindi il suo potere politico. Ma è soprattutto la sua potenza economica che la pone al centro della società campana. La camorra è storicamente espressione dei ceti marginali della città. A Napoli c’erano 300 mila plebei arrivati da tutto il Vicereame e poi dal Regno borbonico. Questa massa dà vita all’Onorata società che costituisce l’aristocrazia della plebe. Sono dei delinquenti, dei criminali organizzati in una forma associativa che gestisce tutto: dai mercati, alla prostituzione, al lotto clandestino. Ma resta marginale nella società ottocentesca. I collegamenti con la società borghese nascono con gli affari e i borghesi garantiscono per i camorristi quando hanno noie giudiziarie. Questo è l’origine dei suoi collegamenti nel tessuto sociale».La politica fino a che punto è linfa della camorra?«La camorra non nasce dalla politica, ma da un suo profondo "rinnovamento" nelle attività criminali: il contrabbando di sigarette e il narcotraffico. La camorra alla fine degli anni ’60 del Novecento comincia a diversificarsi dalla camorra ottocentesca quando si inserisce in traffici internazionali. Prima di questo processo non c’è camorra a Napoli. Ci sono delinquenti che non si definiscono nemmeno camorristi. La camorra rinasce in questi anni in stretto collegamento con Cosa Nostra che fa scuola a Napoli. Agli inizi degli anni ’70 scoppia la guerra tra i siciliani e i marsigliesi. I napoletani sono subalterni. La gran parte si schiera con i siciliani che sono i vincenti. La camorra nasce all’interno di questa guerra e corrisponde alla necessità di Cosa Nostra di prendere il controllo della piazza di Napoli. Nella sua struttura entrano i più grossi contrabbandieri napoletani, come Michele Zaza e i Nuvoletta». Come si qualifica la camorra odierna?«Per capirla bisogna dimenticare quella del passato. Le tre mafie meridionali italiane sono al primo posto nella classifica mondiale delle mafie nazionali, prima delle cinesi. La camorra è fortemente organizzata con la stessa potenza di Cosa Nostra. Al di sopra c’è soltanto la ’Ndrangheta calabrese».Le continue guerre tra clan non sono segno di debolezza interna?«La camorra diventa oggetto di attenzione pubblica soltanto quando ci sono queste guerre, quando i camorristi si uccidono tra di loro, pensiamo all’ultima, quella di Scampia. Ma le guerre sono semplici episodi. Dimostrano che in certi clan non ci si mette d’accordo. Tutto qui. La camorra non è attiva quando ci sono queste guerre. È vero il contrario: le organizzazioni sono tanto più potenti e fanno affari quando non si ammazzano tra di loro. La guerra di Scampia, che si è conclusa qualche anni fa, non indica che la camorra si è ridotta: significa che è aumentato il giro di affari e sono aumentate le attività nel mondo. La novità è questa: la camorra è diventata potente con il narcotraffico, poi con il terremoto e la ricostruzione si è fatta grande imprenditrice edile ed è entrata nel commercio. Mentre nei decenni passati aveva un ruolo nella politica, perché portava voti, oggi tende per lo più a controllare le amministrazioni locali per fare gli affari. Oggi la camorra ha un potere molto maggiore dei politici perché dà anche lavoro, non soltanto nelle sue attività illegali, ma anche in quelle legali che svolge, dall’edilizia al commercio».