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Intervista. Cammariere: «L’erede dei cantautori»

Angela Calvini lunedì 9 gennaio 2017

Il cantautore Sergio Cammariere raccoglie i suoi successi nell'album "Io"

Il «cantautore piccolino in confronto a Paoli Gino», come cantava Sergio Cammariere è cresciuto e con il maestro genovese ora duetta in cd e in tour. Sergio Cammariere, (che vedremo stamattina in onda su Raiuno alle 9.30 per il Concerto dell’Epifania da Napoli) non solo presto sarà in giro per l’Italia in concerto con Gino Paoli e Danilo Rea, ma suggella il saldo legame tra diverse generazioni di cantautori nel nuovo cd Io. I due duettano in Cyrano, un brano che unisce la poesia dei versi di Paoli e l’eleganza del pianoforte di Cammariere. «Gino è un anarchico incondizionato e incondizionabile, lo considero il re dei cantautori, ma anche un melodista straordinario» ci racconta Cammariere. Ma non è l’unica collaborazione con i migliori musicisti italiani. A due anni dall’ultimo lavoro, Sergio Cammariere torna con un disco chiaro nelle intenzioni: nelle 12 tracce risuonate c’è tutto il mondo musicale del cantautore e pianista, capace di combinare tradizione cantautorale italiana, contaminazioni afro- latine e l’anima jazz. Nel nuovo album di Cammariere tornano alcuni punti fermi della sua produzione, fra cui la storica collaborazione con il paroliere Roberto Kunstler che ha firmato brani come Tutto quello che un uomo, con cui si piazzò terzo a Sanremo nel 2003, vincendo il Premio della Critica. Il secondo duetto inedito dell’album, Con te o senza te, nasce invece dalla collaborazione con Chiara Civello. C’è spazio poi per un toccante brano strumentale, Sila, dedicata alla sua Calabria.

Sergio, lei in questo album dimostra un percorso artistico coerente.

«Ogni giorno creiamo, registriamo, è un continuo reinventare quello che si è già fatto. Alcune canzoni negli anni migliorano, si completano. Ho il tarlo del cantautore, alcune cose spesso le tengo per me prima di pubblicarle. Una tecnica che uso col mio fraterno coautore Roberto Kunstler, con cui scrivo canzoni dal 1992. Questo album è un biglietto da visita, una ripartenza, un riposizionamento. L’idea del produttore era entrare in studio come in un live. E funziona, i brani storici rivivono con immediatezza».

Sente il bisogno di ripartire?

«Forse la nuova frontiera della canzone d’autore è riuscire a rileggere la propria musica e la propria creazione. Ci sono tanti cantautori che non sono musicisti. Invece chi suona, ha la possibilità di andare oltre ed esplorare attraverso la musica».

Quale è il suo rapporto con uno dei padri della canzone d’autore come Gino Paoli? «Gino Paoli è l’ideatore dell’evergreen. Ho grande ammirazione e rispetto per quest’uomo che ci ha regalato tante di quelle perle. Ci siamo conosciuti 15 anni fa al Premio Tenco e spesso facciamo concerti insieme. Ora proponiamo una serie di omaggi dedicati ai grandi artisti, Bindi, Endrigo, Lauzi, Tenco e alla canzone napoletana».

In qualche modo Cammariere si inserisce in questa tradizione cantautorale.

«In brani come Io che amo solo te, o Il nostro concerto di Bindi, c’è il dna della canzone d’autore. Io ho avuto la fortuna di conoscere alcuni di questi grandi. Con Endrigo c’era un bel rapporto. Quando arrivai terzo a Sanremo nel 2003 e dissi in tv che anche Endrigo arrivò terzo con L’Arca di Noé, lui mi telefonò per ringraziarmi. Perché grandi come lui, Lauzi e Bindi erano stati dimenticati».

L’Italia è stata smemorata verso questi grandi artisti? «Lauzi ce l’aveva con questo mondo ingrato, lui era un liberale, era fuori da tutte le varie recensioni, snobbato da certi giornali di sinistra che facevano la conta fra tesserati e non tesserati. Con Lauzi ci conoscevamo dal ’96, nacque una bella amicizia da quando suonavo a Roma in un locale dove Bruno veniva ad ascoltarmi. Ma a metà anni 90 si è sentito che è cambiato lo scenario culturale e politico e finalmente anche Lauzi è riapparso sui giornali».

Ma oggi c’è ancora spazio per i cantautori?

«È un bel pasticcio. Io per fortuna ho trovato Vincenzo Micocci, della Rca, colui che ha inventato Venditti, De Gregori, Fortis, Paola Turci, mio cugino Rino Gaetano e me. Oggi abbiamo a che fare più con delle operazioni che abbiano una buona sonorità. Il suono è molto migliorato rispetto a 20 anni fa. Anche se supporti migliori sono quelli degli anni 70 col vinile. Oggi dai telefonini non può uscire qualità musicale. Ma anche il cantautore è cambiato. Non rinascono più dei Cohen o dei Dylan o dei Brel. Occorre trovare una forma moderna. La canzone d’autore è un matrimonio fra musica e poesia». Non si rischia però l’isolamento? «La poesia è la differenza fra questo tipo di canzoni e quelle che passano alla radio. Sono fiero di fare parte di questa piccola setta, siamo in pochi. Io mi sento un un continuatore di quella grande scuola degli anni 60. Come se dopo Tenco e tutti gli altri, in coda, arrivassi anch’io».

E il suo rapporto col cinema, per cui ha scritto molte colonne sonore?

«Si è smaterializzato, ha cambiato completamente forma. Allora il montaggio delle musiche girava ancora sulla moviola. Era il vero cinema. Quando è arrivato il digitale dal 1995 è cambiato tutto il modo di lavorare anche per la musica. In Italia non c’è una cultura cinematografica, neanche per quanto riguarda le colonne sonore».

Lei che ha scritto una meravigliosa preghiera, “Padre della notte”, che rapporto ha con Dio?

«Io sono catecumeno sin dal 1975. Ero il primo cantore della comunità del Duomo di Crotone. Ho un rapporto personale e profondo con Dio, ed anche musicale. Se non c’è questa presenza, se non ci si mette in contatto col divino non si riesce ad essere veramente completi. Se scriverò mai musica sacra? Il parroco di Capo Colonna mi ha chiesto una composizione per la Madonna per maggio. Ci sto pensando».