Agorà

Intervista. Calenda: «Il mio Gesù contadino»

Angela Calvini giovedì 11 giugno 2015
Una Passione con le donne grandi protagoniste. Da una Maria col volto sofferto e intenso di Lina Sastri all’autrice del testo, la monaca Jacopa Fliria. Una religiosa teatina che nel 1525 collezionò tutte le tradizioni orali dell’Abruzzo e delle zone limitrofe riguardo alla Passione mettendole per iscritto. «Un testo importantissimo sia per valenza storica sia per il linguaggio», spiega il regista Antonio Calenda che porterà in scena Passio Hominis - Rappresentazione della Passione, il nuovo spettacolo (prodotto dalla Fondazione Istituto Dramma Popolare di San Miniato, guidata da Marzio Gabbanini e don Piero Ciardella) che debutterà il 17 luglio alla 69ª Festa del Teatro di San Miniato (Pisa). Ad aprire il 29 giugno la manifestazione, che si chiuderà il 22 luglio, un’altra Passione messa in scena da Laura Curino. È una conferma per il regista che l’anno scorso portò alla storica manifestazione di teatro spirituale Finis Terrae, uno spettacolo sugli sbarchi dei migranti, coprodotto con lo Stabile del Friuli di cui Calenda per 20 anni è stato alla guida mentre ora guida il Quirinetta di Roma. Uno spettacolo che ha girato l’Italia, mentre un altro successo del regista non smette di girare le piazze, Magazzino 18  di Simone Cristicchi, dedicato agli esuli istriani. «È nato quasi per caso, ed è diventato una bomba atomica – aggiunge Calenda –. È stato a Toronto, a New York, ha fatto 200 repliche e ne farà ancora. E tornerà in tv». Maestro Calenda, intanto il suo rapporto col teatro spirituale e con San Miniato si sta intensificando. «L’anno venturo per i 70 anni della Festa di San Miniato vorrei portare Assassinio nella cattedrale di Eliot con Herlitzka con la storica versione di Strehler che debuttò qui nel 1948. In vita mia ho realizzato 150 spettacoli, ma mi manca questo testo. Affronta la grande tematica della Chiesa che sta al di sopra del potere temporale. Un tema attualissimo, con una struttura poetica di tale modernità perché Eliot pensa alla parola detta come liturgica, si sente che il portato poetico è “teatrale” ed è di una forza allusiva prorompente». Veniamo alla Passione di quest’anno. «Propongo una interpretazione molto particolare di un testo del ’500. L’Abruzzo aveva quattro grandi centri che producevano sacre rappresentazioni, Sulmona, Penne, l’Aquila e Chieti cui provvedevano le confraternite pagate dalla comunità, e spessissimo erano le Passioni di Cristo. Sulla scorta del saggio di un grande specialista del primo Novecento De Bartolomeis trovai 40 anni fa il manoscritto di Jacopa Fliria che le riuniva tutte alla Biblioteca Nazionale di Roma e lo adattai per le scene. Fu un successo, lo recitavamo nelle chiese, fece il giro del mondo: la Madonna era la grande Elsa Merlini, poi nelle successive edizioni fu interpretata da Pupella Maggio e da Piera degli Esposti. Questa volta avrò una grandissima attrice come Lina Sastri. Tenni anche a battesimo un giovanissimo Sergio Rubini. L’ultima volta lo misi in scena nel 2000 con il logo giubilare». E la Passione di oggi in cosa è diversa? «Porto a San Miniato uno spettacolo in una veste del tutto nuova, con 12 attori e due musicisti. Le ultime ore di Cristo sono ambientate nell’Italia della guerra e del primo Dopoguerra, un mondo rurale agricolo, pastorale, preindustriale. Cristo è un contadino, che muore con una sventagliata di mitra, condannato dai farisei, che ricordano i nazifascisti. Il tutto in una atmosfera dolente, di lotta fratricida. Lo spettacolo nacque nel 78, l’anno in cui fui ucciso Moro, in una temperie piena di strazio, di dolenza: col teatro volevo rivivere il dolore della Passione attraverso il dolore contemporaneo. Il pubblico sta seduto al centro di una passerella rettangolare mentre gli attori girano intorno, vicinissimi, caricandoli di emozioni. Negli anni ’80 il cardinale Martini ci invitò a recitare nella chiesa di Santo Stefano a Milano. Al termine della nostra sacra rappresentazione era così emozionato che si inginocchiò davanti a Elsa Merlini che ancora indossava i panni della Madonna. Fu un momento di commozione generale». E la Maria di Lina Sastri? «Lina Sastri sta vivendo momento di grande riflessione spirituale, recentemente abbiamo posticipato le prove perché lei doveva andare a Medjugorie. Incontrarci è un desiderio reciproco. Lei è la “mater patuta”, la madre sofferente, contadina, domestica. La sua prima apparizione in scena è alla macchina da cucire, ma c’è una simbologia alta. Lo spettacolo dentro ha tutti i miei ricordi d’infanzia. La Passione è vista attraverso tre comici, infatti inizia con un numero di varietà. Nel Dopoguerra, avevo 3 o 4 anni, mi ricorderò sempre di una ballerina incinta che svenne mentre ballava. La vedo come il simbolo dell’Italia sfasciata di allora e della sua voglia di rinascita». Questa Passione girerà nella prossima stagione? «È la nostra intenzione. Comunque da febbraio la Passione sarà in pianta stabile al Quirinetta di Roma in occasione del Giubileo. Il teatro di per sé è sacro, ha un altissimo senso religioso in sé. Ma quando si affrontano i temi dello spirito deve essere una provocazione estetica e poetica: i temi sacri devono passare anche attraverso l’innovazione formale. Noi dobbiamo fare un teatro che emozioni tutti». Una domanda personale ad Antonio Calenda: cos’è Dio per lei? «Dio è un mistero profondo che mi turba, ma il cristianesimo per me è un dato culturale inoppugnabi-le, non ho rinnegato la religione dei miei padri neanche quando avevo intrapreso percorsi autonomi, anche quando ho avuto forti dubbi e divaricazioni. La cultura cristiana è nelle mie fibre. Oggi ho percorsi anche di solitudine immensa, di negatività, poi arrivano i momenti della speranza. Come quando incontrai papa Wojtyla, con cui ho avuto piacere di parlare di teatro. Gli raccontai della Passione che proponevo per il Giubileo. Mi chiese perché facessi questo spettacolo. “Per rappresentare l’uomo contemporaneo”, gli dissi. Mi rispose con semplicità: “Il teatro è un mestiere molto duro, ma molto utile per l’uomo”».