Agorà

Il vocabolario. C'è una Sicilia "lombarda" che parla in galloitalico

Giuseppe Matarazzo mercoledì 14 aprile 2021

Una veduta di Nicosia, nel cuore della Sicilia

Rresegösö- azzardoso, rischioso - è una parola del dialetto di Nicosia, in provincia di Enna, che corrisponde al ligure di Sassello risigusu. E se chintana o rriva, “vicolo” e “ripa”, sono parole che i liguri o gli astigiani conoscono bene, insieme ancora a gatighjè per “solleticare” ci sono centinaia di altre parole a unire il Nord-Ovest dell’Italia al cuore della Sicilia, in un inimmaginabile incontro di lingue e di popoli avvenuti in epoca medievale, di cui i dialetti ancora ci parlano. Se la storia dell’umanità è un racconto di migrazioni e di contatti fra genti e culture diverse che possiamo vedere nelle forme delle città, nelle architetture, nelle tradizioni popolari e nella lingua, la Sicilia può considerarsi un concentrato straordinario di cultura, tanto numerosi sono stati i popoli che sull’isola si sono incontrati o anche scontrati. Così, scorrendo i diversi dialetti locali, oltre alle tracce e testimonianze di ascendenza greca, romana, bizantina, araba, normanna, catalana, castigliana e italiana, ecco anche una inedita Sicilia “lombarda” o “lombardizzata”. Quella delle meno conosciute colonie galloitaliche formatesi nel medioevo, conseguenza di migrazioni dalla Liguria e dal Piemonte meridionale avvenute in un momento di grave crisi per quelle terre, e incoraggiate dai Normanni e dagli Aleramici del Monferrato che si erano imparentati con gli Altavilla di Sicilia. Una migrazione al contrario, dal Nord al Sud, avvenuta in un periodo in cui la Sicilia – che oggi vede i suoi figli partire con un esodo inarrestabile che va avanti dalla fine dell’800 – fu polo di attrazione di popoli e di mercanti per lo più provenienti dall’Italia settentrionale. La Sicilia era stata strappata agli Arabi dopo una logorante guerriglia durata trent’anni (1061-1091), e ora bisognava difenderla dagli stessi Arabi che, numerosi, erano rimasti, nelle province meridionali della Sicilia e in quelle occidentali. Nulla di meglio che portare in Sicilia popolazioni fidate dall’Italia settentrionale, quei besegnoxi e arenduidi cui parlano fonti genovesi, pronti a cercare fortuna in quell’“eldorado” ante litteram che doveva essere la Sicilia in parte spopolata e da difendere contro gli Arabi. Comincia dunque un flusso di popolazioni che dura per buona parte del XII secolo e con qualche appendice nel XIII. Le città ripopolate, disposte lungo una linea che divide in due la Sicilia, furono San Fratello, Novara di Sicilia, Montalbano Elicona (Me), Nicosia, Sperlinga, Piazza Armerina e Aidone (En) e Butera (Cl) per ricordare le principali.

Di questa massiccia immigrazione non sono rimasti apprezzabili documenti scritti – la storia non la scrivono gli immigrati – ma le parlate dialettali, che, per le loro caratteristiche conservano ancora l’impronta italiana settentrionale, e mostrano insieme gli effetti del contatto ormai plurisecolare col siciliano. Così all’interno del “Progetto Galloitalici” – nato alcuni decenni fa all’interno del Dipartimento di Filologia moderna (poi di Scienze umanistiche) dell’Università di Catania e ideato dal professore Salvatore Trovato – si pensò di salvaguardare tali dialetti, a fronte dell’avanzata sempre più vincente dell’italiano e della cultura tecnologica giunta da tempo anche nelle campagne e tra gli artigiani, “conservandoli” agli studi all’interno di ben articolate e strutturate opere lessicografiche: i vocabolari. Su queste premesse si fonda un lavoro davvero “monumentale”, per la portata editoriale e per il significato culturale: il Vocabolario del dialetto galloitalico di Nicosia e Sperlinga di Salvatore Trovato e Salvatore Menza, pubblicato (2020) dal Centro di Studi filologici e linguistici siciliani di Palermo (pagine XCIX+1086, euro 90,00), che arriva dopo l’interessante affresco realizzato sempre da Trovato in Parole galloitaliche in Sicilia (2018). Undici anni di lavoro, che utilizza i materiali linguistici provenienti dalla letteratura dialettale locale e da un ampio etnotesto sulla cultura tradizionale agro-pastorale e artigianale appositamente predisposto da un maestro di Nicosia, Sigismondo Castrogiovanni. «L’opera – spiega Trovato – si colloca, accanto alle più moderne opere lessicografiche italiane ed europee e i corpora di cui si serve, servono non solo a formare l’ampio lemmario ma ad attingere l’esemplificazione, volta a illustrare non solo i significati e gli usi delle singole parole, ma anche i modi in cui le parole possono combinarsi per formare frasi e testi. Non si tratta, dunque, di una lista di parole dialettali con traducente italiano, come purtroppo sono tanti vocabolari dialettali che si realizzano al di fuori della ricerca scientifica, ma di un’opera che studia, registra e illustra il lessico insieme a tutti i livelli interni della lingua (fonologia e ortografia, morfologia e sintassi) e a quelli esterni (contenuti etnoantropologici), supportati spesso da adeguati approfondimenti culturali». Un “monumento” che forse nessun altro centro italiano può vantare e una sorpresa che ci giunge dalle vie e viuzze – chintanëe vaneddë– di quest’angolo poco noto di Sicilia “lombarda”.