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Letteratura. BRONTË, una vita da leggere

BIANCA GARAVELLI martedì 19 aprile 2016
Due secoli dalla nascita e la voce di Charlotte Brontë (21 aprile 1816) ci raggiunge ancora con forza. Entrare nel suo mondo è facile: non solo rileggendo i suoi romanzi, ma pensando alla sua vita come a una storia da leggere, scoprendo che è stata, fin dall’infanzia, un modello per il suo tempo, tanto da poter incontrare oggi un pubblico nuovo. Nata nel pieno dell’età vittoriana, quando il ruolo femminile era in bilico fra forma e censura delle emozioni, rispetto delle convenzioni e sudditanza all’uomo, Charlotte, come le sue sorelle, mostra nella sua breve vita i danni provocati da queste pesanti costrizioni.  Figlia di un pastore protestante, nacque dopo due sorelle, a cui seguirono un fratello, Branwell, e due altre bimbe, Emily e Anne. Il primo lutto fu la perdita della madre, che la colpì quando aveva cinque anni. Anche le sorelle maggiori, Maria ed Elizabeth, morirono prematuramente, una a dodici, l’altra a dieci anni. La loro morte fu causata dal sistema educativo del tempo, a cui il padre aderì senza rimorsi: chiuse in un pensionato per “figli di pastori poveri” dopo la morte della madre, la loro salute fu rovinata dalle condizioni igieniche e dal vitto gravemente inadeguati di quell’istituzione. Da allora, l’intera vita di Charlotte fu costellata di tragedie: perse il fratello nel 1848, a causa dell’alcolismo, in cui si era rifugiato per consolarsi dei fallimenti in campo artistico e letterario; lo seguì dopo pochi mesi Emily, la cui salute era stata minata, come quella della stessa Charlotte, dal breve periodo di permanenza nello stesso collegio. La stessa sorte toccò alla più piccola delle sorelle, Anne, nata nel 1820, che morì di tubercolosi nel 1849. Le vite di queste tre giovani donne appaiono nella storia letteraria unite dalla scrittura, tanto che all’inizio si tendeva a confonderle, ma questi tragici retroscena, che hanno avuto un ruolo nelle loro scelte narrative, non sono quasi mai in primo piano nella memoria dei lettori. I loro romanzi d’esordio furono scritti nello stesso periodo, ma non uscirono insieme: il celebre Cime tempestose di Emily e il meno famoso Agnes Grey di Anne furono pubblicati alla fine del 1847, due mesi dopo l’uscita di Jane Eyre, il capolavoro di Charlotte. Fu il successo immediato di quest’ultimo, storia autobiografica di un’istitutrice che ha il coraggio di infrangere le regole imposte alle donne, a permettere anche la pubblicazione degli altri due. Pochi però sanno che il primo romanzo di Charlotte non era la storia della coraggiosa Jane, ma un altro libro, sempre legato alla sua vita, ma che non traeva spunto dalla sua esperienza come istitutrice privata. Era Il professore, che nasceva da una ben diversa esperienza, vissuta in piena indipendenza, controcorrente per una giovane donna del tempo: un viaggio all’estero, in Belgio, per acquisire le conoscenze linguistiche necessarie ad aprire una scuola privata in patria. Durante il soggiorno belga Charlotte si innamorò del proprio insegnante, Monsieur Héger, ma non poté legarsi a lui perché era sposato: una situazione che si trova, con qualche rielaborazione, in Jane Eyre. Il sentimento passionale raccontato in quest’ultimo, che ne è il fulcro e contribuisce a creare un personaggio femminile libero e originale, era già apparso in Il professore. Dopo i primi tentativi letterari di genere fantastico, poco più di giochi infantili in simbiosi con il fratello, il Ciclo di Angria, questo romanzo, il cui nucleo iniziale è del 1846, rappresentava una svolta per Charlotte: la scelta di raccontare una storia che mostrasse come agiscono “gli uomini veri”, cioè come si guadagnano da vivere e come lottano per raggiungere i loro obiettivi. Quello che fu considerato un eccessivo realismo, senza alcun ricorso a sfumature narrative fantastiche presenti invece in Jane Eyre, provocò una diffusa ostilità da parte degli editori, che lo rifiutarono ripetutamente. Charlotte continuò a rielaborarlo, ma nel frattempo pubblicò altri tre libri, e Il professore finì per uscire postumo nel 1857, a due anni dalla sua morte. Forse proprio in questo romanzo, che da primo diventa ultimo, accogliendo le svolte più tristi della seconda parte della vita dell’autrice, possiamo trovare una via d’accesso alla sua autentica personalità. In questi giorni lo ripropone l’editore Fazi (traduzione di Martina Rinaldi, pagine. 304, euro 18,00), accanto alla biografia di Lyndall Gordon, per la prima volta tradotta in Italia (traduzione di Nicola Vincenzoni, Charlotte Brontë. Una vita appassionata pagine 498, euro 18,00). Nel romanzo, il punto di vista è quello del protagonista maschile, William Crimsworth, professore inglese trapiantato in Belgio, che si innamora della propria allieva belga Frances Henri, apprezzandone l’intelligenza, l’inventiva, l’indipendenza: qualità inammissibili in una donna dell’età vittoriana. Il successivo personaggio femminile, Jane Eyre, dotato di simili inconsuete virtù, fece molto discutere e decretò il successo dell’autrice passando per la via dello scandalo. Una reazione provocata anche dalla scelta di scrivere con lo pseudonimo maschile di Currer Bell: quando Charlotte svelò la propria vera identità suscitò incredulità e disapprovazione. La sincerità coraggiosa, la capacità di esprimere i propri sentimenti e la forza di sottrarsi a un ruolo subalterno, fanno di Frances e di Jane due personaggi memorabili, autentici modelli per le giovani dell’era vittoriana in cerca di emancipazione.  Ma oggi, ancora, possono essere punti di riferimento in società in cui il ruolo femminile è soggetto a costrizioni: nella prefazione alla sua biografia Gordon segnala che la Brontë Society ha tradotto la sua guida in lingua urdu, per assecondare il crescente interesse per le sorelle Brontë in Pakistan. Di riflesso, anche nel nostro mondo privo di apparenti limiti, le vicende di anime femminili che diventano libere a prezzo di sacrifici e drammi, possono illuminare in modo sorprendente le nostre origini, rivelandoci errori e ingiustizie finora rimasti in ombra.