Agorà

L'intervista. Branciaroli, il buon Macbeth

Roberto Mussapi sabato 14 maggio 2016
«Romeo non vive che la notte, fugge i suoi amici, la sua parola non è che un ampio sogno che ha sostituito alla pratica della realtà quotidiana la forma semplificata di un’immagine».In un saggio fondamentale Yves Bonnefoy, uno dei massimi poeti viventi e grande studioso e traduttore di Shakespeare, inizia il capitolo sull’Inquietudine di Shakespeare accostando le due tragedie canonicamente opposte: Macbeth, il trionfo assoluto del male, e Romeo e Giulietta, la morte sacrificale di due innocenti giovani colpevoli solo di amare. Questa tragedia giovanile, luce e clima mediterranei, si contrappone radicalmente al Macbeth, storia nordica, cieli cupi come quelli di Amleto. La contrapposizione assoluta non tiene. Romeo non è completamente buono, innamorato dell’amore, notturno, chiuso. Macbeth, certo, malvagio non è del tutto: Shakespeare mostra sin dalle prime battute, scrive Bonnefoy, che Macbeth è «vittima di un’aggressione tanto difficile da combattere quanto gravida di conseguenze». Forza, lealtà, coraggio, «ma ecco che le forze del male decidono, lì davanti a noi, nella stessa scena, di realizzare un piano che supera tutte quelle virtù». Certo non siamo nel mondo pagano ove il fato è incontrovertibile, Shakespeare vive nella cultura del libero arbitrio, ma certo la sua tragedia non è riducibile esclusivamente a una natura perversa. Con questa riflessione incontro Franco Branciaroli, uno dei nostri massimi attori viventi, mentre ha appena debuttato con il Macbeth, di cui è interprete e regista (fino al 22 maggio al Teatro Sociale di Brescia) dopo esserne stato già protagonista nell’edizione diretta da Giancarlo Sepe nel 1994, in un ricco contesto da primo attore shakespeariano, dall’Otello alla Bisbetica Domata, al Riccardo III, per citare gli spettacoli più noti.Macbeth non è completamente malvagio. «Quando Macbeth confessa a noi pubblico che aveva già concepito il pensiero di diventare re, non dobbiamo dimenticare elementi che confermano questa sua non totale natura malvagia. Quando arriva a corte è il più valoroso dei  combattenti per il re. E nella Scozia dell’undicesimo secolo il diritto ereditario non seguiva il concetto di consanguineità ma di valore. Ereditava il regno non il discendente per sangue, ma il più valoroso. Il regno è stato salvato da Macbeth, il suo difensore leale, coraggioso, tenace. A lui tocca, secondo le leggi, la successione. Quindi, per restare nella psiche di Macbeth, egli se l’aspetta, fondatamente. Non stiamo giustificando l’assassinio notturno, ma dobbiamo comprendere che non è frutto di pura sete di sangue. Macbeth coltiva un’aspettativa di fatto legittima. Il ringraziamento del re nei suoi confronti è molto ambiguo. Evasivo, sfuggente. Questo sarebbe il re buono. Che subito sceglie un giovane come erede, un giovane che non ha meriti né diritto, a differenza di Macbeth. Il designato, Malcolm, domattina sarà Principe del Galles. Quindi, ufficialmente erede. C’è una notte di mezzo, Macbeth ha solo una notte di tempo. Se il designato erede sarà eliminato quella stessa notte, il fatto sarà tutto sommato ordinario. Nell’alto medio evo, in Scozia come altrove, il sangue scorreva facilmente. Ma se non venisse ucciso quella notte, il giorno seguente sarebbe Principe del Galles, vale a dire erede designato. L’uccisione di un erede ufficiale avrebbe ben altro peso. Ripeto, solo una notte di tempo per decidere tutto. L’assassinio notturno è segnato da una clessidra. O lo compie stanotte o domattina l’altro è nominato erede. Macbeth è dilaniato. Guai se ci sfugge questo suo aspetto, condizionati come siamo dalla sua natura di sanguinario».Indiscutibile, ma non esclusiva.«Infatti. Macbeth non è solo un sanguinario, è anche un uomo che ha paura. Vive quello che definiremmo un profondissimo disagio esistenziale». Forse anche un malinconico, secondo la scuola che dalla medicina salernitana del Duecento corre  fino al Seicento, con i trattati in materia.«Sì, un  malinconico. E non solo: è  uomo scisso in due nature: bello-brutto. Una natura feroce e una timorosa: guardiamo quante volte piange».Il ruolo di Lady Macbeth.«Non è sobillato dalla moglie, ma giunge alla decisione ragionando con la moglie, che legge la lettera, invoca gli spiriti, chiede alle streghe di toglierle il sesso, tramutando il suo sangue in veleno. Per questo sarà detta la quarta strega. Ma prima Lady Macbeth è una ragazza assolutamente normale, che se non si fosse data agli spiriti invocati sarebbe stata una moglie piacevole». Solo che ha stipulato un patto con le streghe.«E attenzione: i due sono una coppia che si ama, letteralmente matrimoniale in senso buono. Niente amanti, fosche passioni e gelosie omicide. Questo accentua la complessità della tragedia».Come sempre. Macbeth non può essere totalmente malvagio. Nemmeno Lady Macbeth lo è. Shakespeare non divide totalmente il bene dal male, nei personaggi come nelle storie.«Shakespeare non è Marlowe».Ma anche in Marlowe… Pensiamo al dolore, al tardivo ma afflitto pentimento, e prima alla malinconia di Faustus. Ma questo è un altro discorso…La foresta: come affronti la foresta, come la immagini? «L’albero… L’albero per lui è anche l’albero genealogico. Non ha eredi. L’albero è il simbolo della sua predestinazione alla disfatta. Non ha eredi, Macbeth».E la foresta è la comunità degli alberi. Dei viventi. Gli alberi avanzanti gli svelano il suo compiuto sradicamento.«Delle infinite versioni della tragedia la foresta che forse più parla è quella del Trono di sangue di Kurosawa. In primo luogo si tratta di un film, inoltre ambientato in un mondo giapponese da millenni avvezzo a un rapporto animico con le piante. Anche l’Albero della Vita è archetipo, universale. Quella foresta che avanza minacciosa, rappresenta la vita che Macbeth ha rinnegato. La vita che nella foresta di sequoie Walt Whitman descrive come popolo dei Giganti che ci attende e accoglie nei mondo. Come suoi eredi. Tra terra e cielo, alla loro ombra».