Agorà

Teatro. A Londra con Branagh Shakespeare trova casa

Roberto Mussapi venerdì 16 ottobre 2015
Il 17 ottobre sarà un gran giorno per il mondo. Per chi crede nel mondo come rappresentazione, sogno, sogno vero quanto misterioso nella sua evidenza. Per chi crede che The Globe, “Il globo”, il teatro fondato da Shakespeare a Londra nell’aurea età elisabettiana, non sia il Paese dei balocchi di Mangiafuoco, ma la fucina e la rappresentazione dei sogni umani. Sogni veritieri, rivelanti. Noi siamo della stoffa di cui sono i fatti i sogni, scrive Shakespeare, La vita è sogno, Calderón. Il sogno è la dimensione in cui i Greci vedono a teatro la nascita, la tragedia, i dilemmi del mondo. È la dimensione che consente a Dante un viaggio altrimenti impossibile. Il 17 ottobre Kenneth Branagh, una delle più felici incarnazioni di William Shakespeare, inaugura una nuova compagnia teatrale, la “Kenneth Branagh Company”, che nella stagione che inaugura domani, e fino al novembre dell’anno successivo, presenterà cinque spettacoli. Non è solo una nuova compagnia. È qualcosa di più, come impegno e ambizione. Ma soffermiamoci un istante su chi è Branagh, che molti spettatori di cinema conosceranno anche come mago maldestro e pasticcione nel cameo interpretato in uno degli euforizzanti film su Harry Potter. Guest star, mago confuso e casinista. Bella scelta, poiché nella vita è un mago vero, un sommo interprete di Shakespeare, il mago dei maghi, colui che parla naturalmente con il sogno e lo mette in scena. La visione di Molto rumore per nulla, commedia romanzesca di Shakespeare, regia di Kenneth Branagh, anche attore straordinario con l’allora moglie Emma Thompson (mai soffrii per una separazione come per la loro: pochi anni dopo, si scindeva la coppia più straordinaria creata per Shakespeare), fu, come detto, una visione. Non uno spettacolo, che già è molto, se spettacolo significa qualcosa che merita di essere scrutato, ammirato, ma di più. Il testo di Shakespeare, come sempre nei film di Branagh, uno dei geni irlandesi (è inglese ma di Belfast, quindi della stirpe di Wilde, Yeats, Beckett, di Van Morrrison e degli U2), è rispettato alla lettera. I versi scorrono magnificamente (anche in italiano, traduzione eccellente, doppiaggio da urlo) in simultanea con l’azione scenica: modello di come si crea un grande film da un capolavoro teatrale. Cosa difficilissima: i pur – giustamente – lodati e ammirati Lawrence Olivier e Orson Welles, registi interpreti memorabili di tragedie shakespeariane, crearono sempre, alla fine, del grande teatro filmato. Che non è poco, quello di Olivier e Welles, intendo non certo quello oleografico, preDinasty, di Zeffirelli con il suo Amleto edipico per ragioni del regista non essendolo affatto in Shakespeare… Un Amleto salvato solo dall’interpretazione magistrale di Mel Gibson, il più grande attore cinematografico vivente, a mio parere, che riuscì a rendere tollerabile il melodramma di Zeffirelli.  No, Branagh crea cinema dal teatro: una musica nel parco, la campagna messinese di Shakespeare ricreata in Toscana (dove esistono ancora edifici antichi e funzionali), i volti delle donne sull’erba abbronzati e bruniti come li immagina un inglese dell’epoca di Shakespeare. Poiché il testo è integrale, il regista può aggiungere elementi, o parti, irrealizzabili in teatro: e così l’arrivo del plotone dei cavalieri vincenti, di ritorno da una battaglia, è una corsa trionfante di giovani biancovestiti galoppanti su cavalli bianchi, mentre le donne, avvertite dell’arrivo incombente, si tuffano nelle fonti, bagnandosi di acqua fresca, e si vestono di tele bianche immacolate, stese al sole caldo della Sicilia. Tutto quel bianco volante e svolazzante nell’incontro credo di averlo visto solo (e penso fosse una citazione) in uno spettacolo memorabile del Circo Americano. Poi ha inizio la recita, ogni battuta un’azione, un movimento del corpo o del viso, se necessario una smorfia. Che Branagh, che Denzel Washington, che Keanu Reeves, che Emma Thompson, che attrici le altre, magiche come la Gravina nella Locandiera… Esiste del grande teatro filmato, o cinema teatrale, ma Branagh, il magistrale interprete di Shakespeare sulle scene londinesi, ha creato il cinema shakespeariano, che è un’altra cosa, è di più. Conferisce il movimento, il dinamismo connaturato del film, al teatro di Shakesapere esaltandone la vitalità dinamica, quella continua drammaturgia d’azione che ne muove le scene, il succedersi delle parti, e le parole. Dialoghi quanto monologhi. Ora, sul palcoscenico crea una sua compagnia, che nelle sue dichiarazioni è una scuola, un luogo di studio. Un tempio shakespeariano di lettura, ricerca, riflessione, prova. Inizieremo con il Racconto d’inverno: «storia cosmologica» come scrive Bonnefoy, grande poeta e traduttore e studioso di Shakespeare. «Volevo avere un centro creativo dove poter fare un programma di lavoro piuttosto che singoli spettacoli». Nasce, con un cast stellare, un centro di studio e lavoro su Shakespeare. Che è, fondatamente, un mito, un’istituzione. Branagh ne lesse versi alla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi di Londra 2012, mondovisione. Domani è un bel giorno, per tutto il Globo.