Agorà

Intervista. BRACHETTI, il mio viaggio nei sogni

Angela Calvini venerdì 6 marzo 2015
«Mi piace guidare, quando sono in autostrada il cervello viaggia di più, ho l’illusione di progredire, di essere proiettato verso il futuro». Arturo Brachetti, il più grande trasformista del mondo, oggi è in viaggio fra Trieste e Padova, per la nuova tournée con Brachetti che sorpresa!. «A Parigi, dove sono di casa, vado sempre in auto; a volte anche a Londra, impiego diciassette ore da Torino. Ma ho un senso di grande libertà e molte delle mie idee per gli spettacoli nascono proprio in quei momenti». E un viaggio, ma dentro di sé, lo spettacolo che girerà mezza Italia, passando anche per Roma e Milano, «una metafora, un varietà comico-magico-surrealistico» come dice lui, in cui compagni d’avventura, tra bauli e valigie di tutto il mondo, sono dei giovani talenti dell’arte del “cabaret magico”, l’enfant prodige della magia Luca Bono, gli stralunati Luca&Tino, l’illusionista comico Francesco Scimeni e l’alter ego del protagonista Kevin Michael Moore. Che cose c’è in quelle valigie? «La vita. Questo è uno spettacolo che ha un ritmo e delle sorprese da varietà, ma è anche un viaggio metaforico. Si volge in una specie di limbo, dove un viaggiatore arriva teletrasportato e perde la sua valigia rossa. Per ritrovarla dovrà passare diversi livelli, che sono una parabola della vita. Il livello uno è l’infanzia, il due l’adolescenza, il tre quello adulto. A rimettere insieme i pezzi della sua valigia lo aiuteranno questi artisti giovani che rappresentano vari aspetti del suo carattere. Alla fine, dopo avere interpretato almeno trenta personaggi, scomparirò dentro la mia valigia e passerò finalmente al livello quattro, l’età matura». Ma lei, a 57 anni, si sente cresciuto? «Per fortuna no. Me l’ha detto uno psicologo: non far morire il Peter Pan che è in te, e non avrai mai bisogno di andare in terapia. E per fortuna nessuno ci crede che ho quest’età. I segreti sono anche la ginnastica e non fumare. Anche se essere sempre positivi non è mica facile». La gente non immagina che lei, che fa divertire, possa avere dei momenti bui. «Sono un ansioso, un po’ tendente al depressivo, alcune parti oscure sono date dall’età, ma soprattutto dal lavoro. Ho l’ansia della delusione. Intorno a me si è creato una specie di mito, la gente quando mi viene a vedere si aspetta sempre qualcosa di sorprendente e di eccezionale. Insomma, non è facile essere il più bravo del mondo». Ma allora come fa a rinnovarsi? «Questa volta per esempio uso il laser come strumento poetico e disegno su sabbia i miei ricordi, una nuova attività che ho intrapreso da due anni. E poi occorre metterci sentimento. Quando ritrovo la valigia rossa, alla fine la apro ed è piena solo di polvere che spazzo via: “Ciò che pensavi fosse importante è solo polvere, le cose importanti rimangono nel cuore”». È per lei che cosa è davvero importante? «La grande fortuna che ho di fare il lavoro che amo, innanzitutto. Ho imparato i primi giochi di magia in seminario da un prete che mi indicò la strada: “L’importante non è avere una vocazione religiosa, ma avere una vocazione. Se la tua è quella di far sorridere e sognare, allora seguila”. L’altra cosa importante sono gli affetti, che sono pochissimi. La mia famiglia, con i miei tre fratelli e mia mamma, che ha 78 anni e viene sempre due volte ai miei spettacoli. La prima si commuove e piange e non ci capisce niente, la seconda se lo gode». Nello spettacolo lei riesce a realizzare grandi magie anche con oggetti semplici perché «con poco si può fare tutto». Molto in linea con papa Francesco... «Papa Francesco lo stimo molto proprio per questa sua semplicità e autenticità. Il troppo anche in scena non dà spazio, riempie talmente le aspettative che ci preclude quella finestra sul mistero e sull’immaginario che è immensa. Se in uno spettacolo grazie a una luce o un gesto posso evocare il mare, ogni spettatore se lo immagina come vuole, come quando uno legge un libro. Per noi da bambini un bastone diventava uno scettro, una spada, un remo, la spada di Dart Fener. Quando prendi un adulto e lo rimetti nella stessa modalità di reinventarsi una cosa che non c’è, lui è ben felice. L’illusione è parte necessaria della vita, ci spinge alla creazione continua, altrimenti l’essere umano non sarebbe nulla, sarebbe come gli altri animali». Brachetti, che è un ambasciatore dell’Italia nel mondo, è stato chiamato dall’Expo di Milano? «I premi più importanti io li ho vinti all’estero dove ho portato l’arte della metamorfosi, che è stata inventata nel ’500 in Italia dalla Commedia dell’arte. Io all’estero sono considerato un “prodotto tipico” italiano. Expo mi ha proposto qualcosa, ma sono in alto mare. Invece hanno offerto al Cirque du Soleil una cifra spropositata per portare all’Expo uno dei loro spettacoli già pronti. Era invece una buona occasione per creare qualcosa di unico, anche coinvolgendo le tante piccole e magnifiche compagnie italiane a cui tengo molto. Invece, anche lì, molti artisti italiani sono costretti ad emigrare. Occorreva più orgoglio nazionale».