Agorà

A teatro. Borgonovo. in scena il Morbo del pallone

Massimiliano Castellani giovedì 5 febbraio 2015
È raro che un bomber del calcio, una volta uscito dal campo, camminando sotto i riflettori ormai spenti continui a far parlare di sé. Invece il nome di Stefano Borgonovo, anche ora che non c’è più (se ne è andato a 49 anni, il 27 giugno 2013), rimbomba, come quando fuoriusciva dall’altoparlante dello stadio Franchi, specie nei giorni in cui con Roberto Baggio formava il temuto tandem d’attacco: la “B2” della Fiorentina. Stefano da Giussano è stato un calciatore speciale fino all’ultimo minuto in cui è rimasto qui, a giocarsi la sua “partita”. Nei giorni durissimi della lotta alla malattia – a quarant’anni gli venne diagnosticata la Sla (Sclerosi laterale amiotrofica o Morbo di Gehrig) – dalla sua “finestra parlante”, il computer, cominciò a dialogare con il popolo degli stadi, e non solo. Parlava di calcio, certo, ma soprattutto di quel male (il “Morbo del pallone” che ha stroncato oltre 50 calciatori) che aveva ribattezzato «la stronza». Una storia semplice eppure intensa, quella del campione a difesa del proprio corpo minato dalla Sla, alla quale nel 2010 ha dato voce Alessandro Alciato con la biografia Attaccante nato (Rizzoli).Di quelle pagine ora «un malato di Fiorentina» – come si definisce il regista e attore Andrea Bruno Savelli – mette in scena la versione teatrale (domani e sabato 7, alle ore 21, al Teatrodante Carlo Monni di Campi Bisenzio). «È uno spettacolo (abbinato alla mostra “Bomber Viola”, realizzata dal Museo Fiorentina) in cui si ride un po’, ma ci si commuove di più. Borgonovo sapeva essere profondo e toccante sulla malattia, che esorcizzava con l’ironia. Quando il medico gli parlò di danni al “motoneurone”, ribatté: «Mi sta parlando di un problema della serie Mototopo e Autogatto?». A ridargli voce sul palco è Massimo Poggio, attore cresciuto alla scuola di Luca Ronconi che «incarna perfettamente Borgonovo, anche se somiglia più a Baggio», sottolinea Savelli. Nel libro di Alciato la figura della moglie Chantal è quasi assente, mentre in questa pièce è coprotagonista, nell’interpretazione di Caterina Carpinella. «Non era facile – racconta Chantal – raccontare a teatro i trent’anni che io e Stefano abbiamo trascorso assieme, ma questo spettacolo c’è riuscito. Gli anni della malattia li ricordo per fasi. I primi due terribili, pieni di paura e di voglia di isolamento. Poi, dal 2008 fino al 2013, un tempo a tratti surreale, ma ricco di incontri, di emozioni condivise. E una scoperta inaspettata: quanto Stefano fosse ancora amato. Non era un Pallone d’oro come Baggio, ma attraverso la malattia anche le nuove generazioni hanno imparato conoscerlo, forse più di Roberto». La conferma: gli innumerevoli messaggi e attestati di stima che riceveva quotidianamente da tutto il mondo. Al suo funerale erano in seimila: più o meno il numero dei malati di Sla in Italia, tra i quali diversi calciatori. «Di recente – continua Chantal – sono stata a Glasgow per la partita che i Rangers hanno dedicato al loro ex compagno malato di Sla, il 38enne olandese Fernando Ricksen. All’Ibrox Stadium [c’erano 42mila spettatori, ndr] ho avvertito lo stesso calore che l’8 ottobre del 2008 Firenze tributò a Stefano». Al Franchi fu una notte di lacrime e speranze per Stefano, con la figlia Alessandra (gli altri sono Andrea – che ha reso Stefano e Chantal nonni del piccolo Alessandro –, Benedetta e Gaia) che spingeva la carrozzina fino al centrocampo per salutare il pubblico. Tutti in piedi ad applaudire il loro bomber caduto nella rete del “Morbo del pallone”. «Stefano si rifiutava di credere che lo sport che aveva tanto amato potesse essere la causa del suo male. Io invece vorrei che si facesse luce sulle eventuali relazioni tra Sla e calcio. Con la Fondazione Stefano Borgonovo Onlus non smetteremo mai di fare il possibile affinché la ricerca scientifica abbia i mezzi per arrivare al più presto a scoprire la causa e quindi trovare la cura».Anche il teatro civile di Savelli vuole contribuire e procedere in questa direzione: «Il testo è un “no” alle ipocrisie del mondo del calcio che nello spettacolo assume le fattezze del “bandone”, l’orco che si sentiva perseguitato dalle bordate nelle partitelle da ragazzini e per vendetta ci bucava il pallone». Nella scenografia di Attaccante nato un pallone che si sgonfia è la metafora della fine precoce di Borgonovo. Una pallonata al cuore. Ma la tristezza sul palco si scioglie nelle note della colonna sonora, Through the barricades degli Spandau Ballet. «Era il gruppo preferito di Stefano, che mi conquistò – ricorda Chantal – come Sophie Marceau nel Tempo delle mele: mi mise le cuffiette per farmi ascoltare e ballare Reality». L’emozione riaffora quando Nicola Pecci sul palco canta una canzone scritta in ospedale da un compagno di stanza di Borgonovo: «Stefano l’aveva spedita a Biagio Antonacci, ma non gli ha mai risposto», dice Chantal con i suoi occhi della ragazza di ieri eternamente innamorata di quel ragazzo che l’ha amata tanto, quanto la vita. E anche quando questa gli faceva troppo male, ha continuato a sorridergli, perché «della vita – diceva – prendo il buono. E mi sento comunque fortunato, so che addirittura c’è chi ha meno di me. Quindi rido».