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LA MUSICA DAL VIVO. Boom dei concerti «Ma in Italia mancano gli spazi»

Massimo Gatto martedì 24 maggio 2011
Se le vendite del cd continuano la loro picchiata sui mercati di tutto il mondo, la musica dal vivo è sempre più in attivo (e que­sto continua a spingere le major del disco ad investire budget sempre più consistenti nelle agenzie di spettacolo). Ma le ripercussioni del­la crisi si fanno sentire pure sui pal­coscenici, dando vita ad una sin­golare polarizzazione che premia le produzioni piccole e grandi pe­nalizzando quelle medie. Con po­chi soldi in tasca, l’ascoltatore fa delle scelte; privilegiando le agili produzioni da club e i kolossal da arena (anche a prezzi salati) piut­tosto che le altre. E questo mette in primissimo piano la questione del­le strutture, problema mai affron­tato con concretezza nel nostro paese. All’estero, infatti, tira tutta un’altra aria. Basta pensare che solo nel 2010 in Europa sono stati inaugu­rati ben cinque impianti, vale a di­re l’Ergoi di Sopot in Polonia, l’M-CH di Herning in Danimarca, la Stožice di Lubiana, l’Arena di Min­sk e il Sinan Ernem Dome di Istan­bul, colosso da 22.500 posti costa­to oltre 47 milioni di dollari. Ed en­tro il 2013 è prevista l’inaugurazio­ne di nuove strutture pure ad Am­sterdam, Sofia, Kaunas, Bordeaux per migliorare l’offerta di eventi in Olanda come in Bulgaria, in Litua­nia come in Francia. Un moltipli­carsi di spazi al coperto, con gran­di investimenti ad Est come ad O­vest, a cui l’impulso maggiore l’hanno dato probabilmente i nu­meri della O2 Arena di Londra. «Nonostante tutto in Italia i prezzi dei concerti rimangono ancora al di sotto della media europea» spie­ga Roberto De Luca, amministra­tore delegato di Live Nation Italia, braccio milanese di un multina­zionale dell’entertainment che al­la produzione di tournée affianca la proprietà e la gestione di strutture su entrambe le rive dell’Atlantico. «Anche se ieri da noi il prezzo dei bi- glietti era quasi la metà che negli altri paesi mentre oggi il divario è sceso sotto al dieci per cento». Colossi dell’intrattenimento come Live Nation e AEG posseggono nu­merose strutture, ma non in Italia. «Per costruire un’arena oggi in Ita­lia occorrono 80-100 milioni di eu­ro e per questo bisogna offrire agli investitori concreti margini di gua­dagno che vengono da parcheggi, dagli spazi commerciali, dagli sky­box, dai bar e da tutte le altre strut­ture di servizio per gli spettatori. Un introito che, calcolando 5-6 euro di spesa a testa, fanno 60-80 mila eu­ro a serata. Un bel guadagno, che fi­no a qualche tempo fa spingeva gli americani ad offrire agli artisti tut­to l’incasso tenendosi i proventi de­gli esercizi commerciali, creando problemi di cachet a noi europei che per evidenti limiti strutturali non potevamo garantire altrettan­to. I concerti producono ricchezza e questo dovrebbe spingere le am­ministrazioni a mettere gli im­prenditori disposti a creare nuove strutture in condizione di investire agevolando il credito, reperendo terreni idonei, creando infrastrut­ture. Altrimenti meglio gestire l’e­sistente, come facciamo noi a Tori­no con il Palaolimpico e il Palave­la. Ci sono infatti alcuni edifici che, adeguatamente ristrutturati pos­sono fare il salto di qualità neces­sario ad affrontare le sfide del mer­cato. Un caso per tutti: a Dublino abbiamo investito oltre 25 milioni di euro per portare il vecchio Point da 8.500 a 14.500 posti. Ma non tut­te le strutture consentono inter­venti di questo tipo; a Roma, ad e­sempio, sarebbe più economico co­struire un nuovo palazzo dello sport che intervenire sul Palaeur. Pur­troppo finora tutti i terreni presi in considerazione per l’eventuale creazione di una nuova arena sono lontani dalla città o mal collegati. A Milano fra qualche tempo avremo il bando di gara per la costruzione di un palazzo polifunzionale per sport e spettacolo sul sito in cui sor­ge da 25 anni la tensostruttura del PalaSharp, attendiamo di conosce­re a quali condizioni».