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L'ultima intervista. Addio allo scrittore altoatesino Joseph Zoderer

Alessandro Beltrami giovedì 2 giugno 2022

Lo scrittore altoatesino Joseph Zoderer

Lo scrittore altoatesino di lingua tedesca Joseph Zoderer, autore che nei suoi romanzi ha spesso affrontato il tema della difficile convivenza tra germanofoni e italofoni, come nella sua opera più celebre, L’italiana (Mondadori, 1985; Einaudi 1998), è morto all’età di 86 anni. Nella serata del 31 maggio è stato vittima di una caduta in casa ed è stato portato in ospedale, dove questa mattina si è spento. Viveva a Terento in Val Pusteria, in provincia di Bolzano. Zoderer si è occupato degli specifici problemi di convivenza fra sudtirolesi di lingua tedesca e altoatesini di lingua italiana e delle contraddizioni da cui è attraversata una comunità che non ha mai accettato di essere italianizzata. I suoi libri hanno riscosso un grande successo di pubblico e di critica in Germania ma dagli anni ’90 Zoderer era diventato un caso letterario anche in Italia.

L'ultima intervista: «Siamo una minoranza e per noi la patria non esiste più»

In occasione della morte dello scrittore Joseph Zoderer, proponiamo l'intervista che concesse ad "Avvenire" il 26 agosto 2011

Dal pavimento al soffito, le pareti di Villa Moessmer a Brunico sono ricoperte di fogli. Sono le pagine vergate a mano da Joseph Zoderer, che qui vive grazie al mecenatismo del produttore di loden. Stimato tra i massimi scrittori in lingua tedesca (applauditissimo in Germania l'ultimo libro Die Farben den Grausamkeit, «I colori della crudeltà», che Bompiani tradurrà in primavera), Zoderer ha passaporto italiano. Nato a Merano nel 1935, ha messo al cuore di molti suoi romanzi (da La felicità di lavarsi le mani del 1981 e L'italiana del 1982 a Il dolore di cambiare pelle del 2002) proprio il «Südtirol» («Alto Adige – dice – è un termine che non ha niente a che fare la nostra cultura e la nostra identità»). Una terra con una frontiera tutta interna. E verso cui Zoderer ha uno sguardo critico e l'affetto di un figlio.

Una delle parole centrali nei suoi libri è "Heimat". Resa in italiano con "patria", è in realtà intraducibile.

«Per noi, minoranza, "patria" non esiste: sarebbe oggi un'Austria viennese ed europea scomparsa da un secolo. È quasi imbarazzante sentirsi chiamato scrittore italiano di lingua tedesca. Ma non voglio, come invece tanti nazionalisti, cambiare la situazione. Ogni tentativo separatista è un ritradimento. Per me un passaporto italiano o austriaco non cambia: abbiamo l'Europa, ora dobbiamo costruirla al meglio».

Quanto conta qui il fantasma di un passato che non può tornare?

«Molto purtroppo. Lo giudico però solo opportunismo politico: oggi cambiare le frontiere è un'illusione. Le forze agli estremi della Südtiroler Volkspartei promettono uno stato autonomo solo per avere una propria visibilità. D'altronde questo è stato terreno florido anche per i partiti italiani ultranazionalisti. La paura è un buon modo per raccogliere voti».

Trenta anni fa ne L'italiana diede un ritratto feroce dei suoi valligiani. Oggi lo riscriverebbe?

«Da qualche anno si avvicina sempre più quel futuro che mi sono sempre augurato: l'incontro tra tedeschi e italiani. Che lavorano insieme perché amano allo stesso tempo la stessa terra. È un momento che allora non potevo sperare. È il frutto di un processo democratico e come tale si dibatte tra slanci e ostacoli».

Come vive questa terra le sfide della globalizzazione?

«Turismo e tecnologia lo hanno cambiato nel profondo. Oggi ogni giovane che coltiva un maso usa il pc come strumento di lavoro. Abbiamo laureati che vivono a 2000 metri di quota. L'antidoto alla crisi di identità sta proprio nel nostro territorio. La nostra unione alla natura è nei geni. Anch'io, che ho vissuto negli Usa per lungo tempo, quando dormo sogno i boschi. La globalizzazione ha consentito a un paese di valli e montagne di essere come al centro. Con i vantaggi di una vita più tollerabile rispetto a quella metropolitana».

Per queste valli il cattolicesimo è stato un forte elemento identitario. Oggi che peso ha?

«Grandissimo. Tutti qui vanno in chiesa. In un territorio composto di comunità montane, è il punto di massima concentrazione della
cultura identitaria. Un paese intero va a messa per ritrovarsi in una esistenza comune. Non conosco un fenomeno pari. Io stesso, che non voglio dirmi credente, vado in chiesa per vivere con la gente. Lì, con il popolo, mi sento al centro del senso dell'esistere».

Alessandro Beltrami