Agorà

La guerra del secolo. Soldati BESTIALI: piccioni e cani in grigioverde

Nazareno Giusti mercoledì 25 giugno 2014

Il capitano Julian Grenfell, autore della famosa poesia Into Battle, scriveva nel suo diario che la guerra è «una battuta di caccia in cui le prede, anziché le solite volpi o anatre, sono esseri umani». Parole per lui profetiche (morirà, al fronte, nel 1915) ma che ben rendono l’atmosfera (e la mentalità) del tempo. Ha quindi fatto bene Lucio Fabi (storico triestino) a inserirle nel suo interessante libro edito recentemente da Mursia, Il bravo soldato mulo, che affronta un tema pressoché inedito: la partecipazione alla prima guerra mondiale degli animali. Fabi, da sempre studioso di tematiche belliche, già autore del saggio fotografico Guerra Bestiale, accompagna il lettore in un viaggio affascinante, con sfumature inaspettate. Come è ben noto la prima guerra mondiale fu allo stesso tempo una guerra industriale e primitiva. Fu anche l’ultima in cui il contributo animale fu, a dir poco, fondamentale. Cavalli, buoi e muli furono essenziali per il trasporto. Tutti i modernismi del conflitto che aveva inizio cent’anni fa furono supportati dal lavoro e dalla fatica degli animali, che seguirono spesso sino nelle trincee i drammatici destini degli uomini.Scrive Fabi: «Per i soldati abituati, da sempre, a convivere nei campi o in montagna con gli animali, cavalli, muli e buoi non erano soltanto mezzi di supporto ma concretamente esseri viventi a cui ci si accompagnava in un momento indubbiamente difficile e critico per la vita di tutti, uomini e bestie». Furono non meno di 8 milioni gli equini (e parliamo solo dei muli e dei cavalli!) che perirono nella guerra mondiale. Tra loro però non vi furono solo bestie da trasporto. Importante fu la presenza del «miglior amico dell’uomo»: il cane.Già nel 1914 l’esercito tedesco era all’avanguardia nell’addestramento di dobermann e pastori tedeschi impegnati soprattutto nella ricerca dei feriti e nelle bonifiche delle trincee. Stessa cosa fecero francesi e americani, mentre l’esercito italiano li aveva già impiegati per la prima volta nel 1912, nella campagna di Libia. I poveri cani furono anche usati come armi: imbottiti di cariche esplosive erano lanciati contro i reticolati nemici, per aprire varchi. Una triste anticipazione di quello che saranno i «cani anti-carro» della seconda guerra mondiale durante la quale molti eserciti addestrarono i cani facendoli mangiare soltanto sotto i cingolati...Ma non sono solo storie di dolore (anche se sono la maggior parte) quelle degli animali alla guerra; sono anche vicende di affetto eccezionale, con alcune simpatiche curiosità. Ad esempio Armando Diaz battezzò il suo cane con il nome della città slovena conquistata dalle sue unità, Selo. Invece il capitano Carlo Mazzoli, veterano di Libia e Albania, ufficiale eccentrico e molto amato dai suoi uomini, era così legato ai suoi cani da presentarli al re in persona quando lo volle incontrare, affascinato e incuriosito dalla figura di questo militare che si ostinava a portare barba e capelli lunghissimi, infischiandosene degli ordini dei superiori e di una rigida formalità.Alla guerra parteciparono anche animali insospettabili come elefanti e cammelli, utilizzati nei fronti extraeuropei. E che dire poi dei colombi che vennero impiegati, a tutte le latitudini, come portaordini. Un ruolo di fondamentale importanza tanto che in Inghilterra il simbolo dell’Animals in War Memorial Fund è il piccione-soldato 2709, morto «nell’adempimento del suo dovere». C’erano poi animali non propriamente voluti: pidocchi, pulci, cimici, zanzare che infestavano le trincee (in quel periodo l’uso del Ddt crebbe a ritmi esponenziali) e soprattutto topi, enormi e malati, ingrassati grazie alla gran quantità di lerciume e rifiuti che si accumulava nelle trincee infangate e negli ambienti malsani delle retrovie.Ma gli animali contribuirono, soprattutto, all’alimentazione dei combattenti che consumavano carne e pesce in scatola. Solo negli stabilimenti di Casaralta, Scanzano e Alghero, ad esempio, furono prodotti 140 milioni di scatolette di carne bovina e 26 milioni di carne suina. Inoltre, per la carne fresca, nelle città di retrovia funzionavano a pieno ritmo i macelli requisiti e riservati alle truppe. Dove fu possibile, poi, i soldati si fecero pure cacciatori; in particolare nelle zone montane più tranquille. Così allo svago si univa l’utilità di aumentare il quantitativo di nutrimento. Oltre alla selvaggina si cacciavano rane e bisce d’acqua. L’artigliere Roberto Gandini, addirittura, nei suoi diari ricorda di aver rincorso dei «porcelletti»!Epico il racconto del camoscio conteso tra gli alpini del Battaglione Belluno e gli Jäger tedeschi. Finito nella terra di nessuno, l’animale fu motivo di diatriba. L’ebbero vinta gli alpini che lo imbrigliarono a una corda usata anche come esca per catturare la pattuglia di Jäger, uscita dalla trincea  per cercare di impadronirsi dell’animale. Così furono fatti prigionieri 5 tedeschi; si dice però che gli alpini cavallerescamente condivisero con loro il camoscio cucinato assieme a un bel po’ di polenta!

IL CASO: IL "REDUCE" RIN TIN TINFurono più di 350 mila i cani impiegati durante il conflitto mondiale, per lo più dobermann e pastori tedeschi. Probabilmente proprio il cucciolo di uno di questi divenne molto famoso come protagonista di una fortunatissima serie televisiva, stiamo parlando del «mitico» Rin Tin Tin. Sì, proprio lui, il cane amico del piccolo Rusty, l’orfano adottato dai «soldati blu» di Fort Apache, in realtà, fu trovato negli ultimi mesi della prima guerra mondiale da un caporale dell’esercito statunitense: Lee Duncan, in un canile bombardato della Lorena. Il futuro Rin Tin Tin (ribattezzato «Rinty») era l’unico sopravvissuto assieme alla sorella Nanette di tutto il canile. Il soldato prese entrambi portandoseli, a guerra finita a casa, a Los Angeles. Dunacan affidò Nanette a degli amici e tenne con se Rinty, rendendosi-ben presto conto delle straordinarie capacità di apprendimento dell’animale. Addestrato, Rin Tin Tin fu fatto esibire in vari luoghi. E così fu notato dal produttore cinematografico Darryl Zanuck che gli aprì le strade del successo, poi replicato anche in una celebre serie televisiva (nella foto).