Agorà

Dibattito. Giù le mani da Bernanos

DANIELE ZAPPALÀ giovedì 17 dicembre 2015
Come tesori messi ancor più in risalto dalla bassa marea, le intuizioni e le pagine di Georges Bernanos brillano in questi mesi in una Francia in preda a tanti dubbi e in cerca di riferimenti d’avvenire. Fra gli appassionati di lirica, aveva lasciato una scia d’entusiasmo un recente adattamento dei Dialoghi delle Carmelitane (musiche di Francis Poulenc) dovuto al regista Olivier Py, ovvero il direttore del Festival di Avignone. Adesso, è l’uscita dopo oltre mezzo secolo di una prestigiosa riedizione rivista delle opere romanzesche bernanosiane complete, in due tomi della collezione Pléiade (Gallimard), a suscitare un turbine d’iniziative attorno allo scrittore nato nel 1888 e scomparso nel 1948. Fra queste, un convegno il mese scorso al Collegio dei Bernardini, il centro culturale voluto dal cardinale Jean-Marie Lustiger. Come scrisse François Mauriac, Bernanos aveva il dono di «rendere naturale il sovrannaturale »: una forza di scrittura che, secondo critici letterari come Claire Daudin, continua ad afferrare per il collo e a stendere al tappeto i lettori contemporanei. Tanto più quelli che hanno avvertito le odierne insidie di una certa desertificazione spirituale, talora apertamente promossa oltralpe. Poco importa se lo stile non di rado elevato dell’autore ha potuto contribuire in passato a fabbricare l’immagine di uno 'scrittore difficile'. Sul mistero dell’ispirazione bernanosiana, molto si è scritto. Ma in una Francia dove non sono mancate pure le tentazioni di affibbiare a ogni costo un’etichetta politica a Bernanos, di volta in volta 'conservatrice' o 'progressista', secondo il periodo considerato della parabola creatrice e dell’impegno pubblico, appare ormai chiaro a molti che le opere dello scrittore superano ogni steccato convenzionale della vita in società nel Vecchio Continente. Senza potersi certamente definire un osservatore neutro e tanto meno distaccato, ne è pienamente convinto anche Yves Bernanos, il nipote dello scrittore. Un regista che negli anni passati ha risposto colpo su colpo a certi tentativi dei partiti transalpini di 'orientare' abusivamente il senso del messaggio di colui che amò così tanto «correre il rischio della speranza». «L’eredità che ci ha lasciato è prima di tutto quella di un uomo libero, capace di assumere posizioni forti e di prendere rischi», ci dice appunto Yves Bernanos, a due passi dalla cattedrale di Notre Dame, davanti alla quale non è stato allestito quest’anno l’usuale albero di Natale, dopo la spirale d’orrore del mese scorso. «Ci ha mostrato la via della libertà dello spirito, quella di un creatore che a livello tematico ha osato introdurre ciò che molti oggi chiamano romanzo sacerdotale». Ma per Bernanos, si può parlare davvero di attualità? In effetti, la parola rimbalza da un convegno all’altro. A ragione, secondo il nipote: «In proposito, la prima opera che mi viene in mente è La Francia contro i robot, pamphlet pubblicato nel 1946. Bernanos vi prefigura molti aspetti divenuti oggi realtà: la società delle macchine e del consumo di massa. Per lui, l’uomo che si definisce come consumatore è destinato a rinnegare una dopo l’altra le proprie libertà. Quando osserviamo certe forme di disumanizzazione odierne, quelle pagine possono apparire quasi profetiche. Da un decennio all’altro, la forza di quest’opera continua a crescere ». Il regista ammette di aver masticato a lungo fin dall’adolescenza le pagine scritte dal nonno. «Ho adattato una novella sulla menzogna, Madame Dargent, scritta nel 1922. In questa corta narrazione di un’agonia, sono prefigurati e concentrati tutti i temi di Bernanos.  E sto lavorando a un film biografico su un prete parigino che mi è sempre sembrato molto bernanosiano. Del resto, aveva amato fin dall’infanzia i preti bernanosiani. Poi ha ricreato ciò in vita ». Sostenuto dalla diocesi di Parigi, il film per la televisione, scritto con l’italiana Roberta Collu, uscirà nel 2016. Nella memoria tramandata all’interno della famiglia Bernanos, restano custodite alcune chiavi forse utili per capire il percorso del grande scrittore: «Aveva un’unità profonda d’uomo e di cristiano, una fedeltà allo spirito e all’immaginario dell’infanzia, ma anche la capacità di evolvere di continuo con il proprio tempo, senza irrigidirsi o sprofondare in forme di nostalgia. Sul piano spirituale, la sua libertà era tesa verso una ricerca continua della verità. Al di là dei proclami sulla libertà che caratterizzano generalmente molti discorsi pubblici in Francia, era capace d’incarnare questa libertà in ogni atto». Nel tempo, sul filo degli aneddoti evocati in famiglia, il regista è giunto a una conclusione precisa: «La fede e l’umanità formavano in lui un tutt’uno, come mostrano le amicizie che coltivò, spesso pure fra non credenti e personalità con ideali contrari ai suoi». Al nipote, anche come addetto ai lavori, piace evocare 'i due capolavori' cinematografici di Robert Bresson che hanno contribuito a loro volta alla fama dell’opera bernanosiana: Diario di un curato di campagna (1950), Mouchette. Tutta la vita in una notte (1967). In gran parte in esilio, Bernanos scrisse febbrilmente romanzi solo per un decennio, ricorda la presentazione della Pléiade, sottolineando i ruoli della malignità e della grazia all’interno di questi scritti «violenti, notturni, splendidi».