Agorà

Il centenario della morte. Benedetto XV, un profeta imbrigliato dalla storia

Mimmo Muolo sabato 22 gennaio 2022

Benedetto XV alla scrivania

Capita a volte persino a figure apicali di finire imbrigliate in stereotipi che non permettono di coglierne la reale personalità. È giusto il caso di Benedetto XV, del quale proprio oggi ricorrono i cento anni dalla morte. Papa che rischia di essere ridotto a una sola, sia pur profetica, frase - «l’inutile strage», riferita alla I Guerra mondiale. Oppure sostanzialmente confinato nell’atteggiamento di rifiuto del conflitto e di neutralità rispetto alle nazioni belligeranti, che aveva espresso fin dall’8 settembre 1914, cioè cinque giorni dopo la sua elezione a successore di Pietro, con l’esortazione Ubi primum, e il 1° novembre dello stesso anno nell’enciclica Ad Beatissimi Apostolorum Principis.

E invece tutt’altro che "neutrale" fu nella sua vita e nel suo pontificato Giacomo della Chiesa, nato a Genova il 21 novembre 1854 e ordinato sacerdote nel 1878 dopo la laurea in legge. Del resto, dato il cognome di famiglia, che oggi ci appare come il più classico dei nomen omen (della Chiesa di nome e di fatto si potrebbe dire) neutrale non poteva esserlo. Un papa dalla parte dell’uomo, di tutti gli uomini e le donne del suo tempo, a difesa dei quali prima cercò di impedire l’escalation della guerra (le ostilità erano iniziate il 28 luglio, quindi poco più di due mesi prima che nella Cappella Sistina la scelta dei cardinali ricadesse su di lui), poi supplicando re e governanti di porre fine ai combattimenti, infine promuovendo un’imponente opera di assistenza per favorire lo scambio dei prigionieri inabili ai servizi militari, curare i feriti e aiutare le popolazioni civili (specialmente del Belgio, del Montenegro, del Libano, della Siria e i profughi russi).

Purtroppo i suoi appelli per la pace, o almeno per non allargare il conflitto - tentò invano di impedire l’ingresso in guerra dell’Italia - rimasero inascoltati. Anche nel 1917, quando con la nota del 1° agosto inviata agli Stati in conflitto (e nella quale si definisce appunto la guerra una «inutile strage»), li invitava alla «diminuzione simultanea e reciproca degli armamenti » e in sostituzione delle armi indicava «l’istituto dell’arbitrato con la sua funzione pacificatrice». Ma proprio queste notazioni aiutano a capire la reale portata del pensiero di Benedetto XV e a liberarlo dal cliché, per assegnargli invece la palma di una lungimiranza che egli pose in tutti gli aspetti del suo pontificato.

Pur non altissimo di statura, Giacomo della Chiesa seppe vedere molto più lontano di tanti suoi contemporanei. Si era formato alla scuola diplomatica del cardinale segretario di Stato di Leone XIII, Mariano Rampolla del Tindaro, il quale nel 1901 lo volle anche suo sostituto. E in quest’incarico restò fino al 1907, quando Pio X lo nominò arcivescovo di Bologna, conferendogli la porpora nel 1914, tre mesi prima di morire. Nei suoi interventi a favore della pace si vede bene la tempra del diplomatico, oltre che l’afflato del pastore. E si può già intuire l’influenza che avrebbe esercitato sui successori. Pio XII, ad esempio, da lui ordinato vescovo, nella temperie altrettanto tragica della II Guerra mondiale, ne seguì le orme. Del resto ciò che papa della Chiesa aveva sotto gli occhi era più che evidente. Nella nota del 1917 denunciò: «Il mondo ci- vile dovrà dunque ridursi a un campo di morte? E l’Europa, così gloriosa e fiorente, correrà, quasi travolta da una follia universale, all’abisso, incontro a un vero e proprio suicidio?».

È la stessa lucidità con la quale, nella già citata enciclica di inizio pontificato, aveva analizzato le cause del conflitto: mancanza di mutuo amore tra gli uomini, elevazione dei beni materiali a unico obiettivo dell’attività umana, egoismo nazionalistico, odio di razza e lotta di classe. Così come ugualmente lungimirante può essere definita l’enciclica in qualche modo 'gemella', Pacem Dei munus del 1920, in cui a guerra ormai conclusa egli riflette sui principi basilari per la riconciliazione tra i popoli. «La pace di Benedetto - ha scritto a tal proposito lo storico Andrea Riccardi non era la vittoria di una parte sull’altra, ma la fondazione di un ordine internazionale giusto e stabile, attraverso il negoziato e il dialogo». Perciò la 'dottrina' di Benedetto XV è un punto di partenza che porta fino a papa Francesco, passando per la Pacem in terris di Giovanni XXIII e i documenti di Paolo VI e Giovanni Paolo II.

Come in un iceberg tuttavia, questa azione resta solo la punta emersa. In realtà Benedetto XV seppe vedere lontano anche nei rapporti diplomatici. Con lui divennero 27, da 14 che erano, le nunziature (riaprì tra le altre quelle in Francia e in Inghilterra), più due delegazioni apostoliche in Giappone e Albania. Abolì poi il non expedit di tipo internazionale sulla visita dei sovrani cattolici al re d’Italia, si adoperò con successo per ricomporre la frattura del modernismo all’interno della Chiesa e incoraggiò la formazione del Partito Popolare, favorendo la partecipazione dei cattolici alla vita politica.

Avviò anche il disgelo con l’Italia. E fu solo per l’opposizione di Vittorio Emanuele III se la chiusura della questione romana non maturò prima. Nel 1919, infatti, l’allora monsignor Bonaventura Cerretti, uno dei più fidati collaboratori del papa, incontrò a Parigi il presidente del Consiglio italiano Vittorio Emanuele Orlando, consegnandogli un promemoria del cardinale Gasparri (lo stesso che dieci anni dopo avrebbe firmato i Patti Lateranensi) in cui si prospettava il riconoscimento di un territorio vaticano poco più ampio di quello poi stabilito nel 1929. A cento anni dalla morte, dunque, è ora di cominciare a liberare Benedetto XV dallo stereotipo di papa solo della I Guerra Mondiale. Nei suoi sette anni e mezzo di pontificato egli impresse una svolta a molti altri campi dell’azione della Chiesa: le missioni, il diritto canonico (suo il Codice del 1917), i rapporti con l’oriente cristiano (istituì la Congregazione per le Chiese orientali) e la cultura (nacque l’Università Cattolica di Milano). Ma è uno dei due soli papi del ’900 (l’altro è Pio XI) per i quali non sia stato aperto il processo di beatificazione. Mai dire mai, vista l’attualità delle sue intuizioni.