Agorà

INTERVISTA. Belpaese malato: ci salverà la creatività

giovedì 14 febbraio 2013
​isogna seminare... anche se il terreno è arido, e la situazione in Italia molto problematica. Ma con autentica creatività tutto questo può cambiare. E anche in fretta». Annamaria Testa si occupa di comunicazione, insegna alla Bocconi e ha fatto dello studio della creatività il suo cavallo di battaglia (tra l’altro due anni fa ha pubblicato <+corsivo_bandiera>La trama lucente. Che cos’è la creatività, perché ci appartiene, come funziona<+tondo_bandiera>, Rizzoli). Sullo stesso tema ha scritto l’introduzione al catalogo della mostra <+corsivo_bandiera>Benzine. Le energie della tua mente<+tondo_bandiera>.<+nero_bandiera>A che cosa mira questa esposizione? <+tondo_bandiera>«Mette assieme la lettura tecnico scientifica con quella artistica di una stessa realtà. A guardare da due diverse prospettive si ha una visione accattivante e stimolante. E parlare di creatività è fondamentale. Il nostro paese è stato il più creativo al mondo in certe epoche, oggi, invece, sembra che tale capacità propulsiva sia persa: dimenticata».<+nero_bandiera>Come! Tutti ne parlano: grafici creativi, creatori di moda, scrittura creativa, design creativo... <+tondo_bandiera>«Ma no. Altro è usare la parola. Altro darle un contenuto autentico. La società italiana vive di intrattenimento e delle illusioni che lo accompagnano, schiacciata in un effimero e insensato universo parallelo dominato dalla furbizia. Creatività non è parlare del nulla: è immaginare il futuro. E costruirlo. Interrogarci su come si formano i giovani, su che cosa vogliamo diventare, su quanto valiamo come paese... Perché si formi una mente creativa occorre studio, impegno, tenacia. Ma questi argomenti sono estranei al mondo in cui vivono i nostri politici e, purtroppo, alcuni dei  nostri imprenditori».<+nero_bandiera>Dei politici si sa, ma gli imprenditori: non sono il motore dell’economia?<+tondo_bandiera>«Prevale un modo vecchio di fare impresa, da tempo superato. Non è così all’estero. Guardiamo la Finlandia: entra in crisi la Nokia, principale azienda di quel paese, responsabile del 4 per cento del suo Prodotto interno lordo. E che fa il governo? Si fa prendere dal panico? No, manda un gruppo di giovani al Mit per aggiornarsi, e trovare nuove idee d’impresa. Per contrasto, prendiamo l’annoso problema del Sulcis: si cerca a tutti i costi di tenere in funzione quel che c’è - la ricetta per rendere il fallimento più costoso e doloroso. Invece di offrire concrete proposte di nuova occupazione e ipotesi innovative di sviluppo, e di farlo in fretta perché le famiglie non possono essere tenute nell’incertezza».<+nero_bandiera>Chiaro: ci vuole creatività. Ma come la si favorisce?<+tondo_bandiera>«L’individuo creativo è pieno di curiosità, irrequietezza, insoddisfazione per l’esistente, desiderio di esprimersi. E ha bisogno di un ambiente che lo premi, o almeno che non lo reprima. Un ambiente sociale che riconosca il talento, tolleri la stravaganza, richieda l’eccellenza, offra opportunità, promuova il contatto tra realtà diverse... Come nella Firenze dell’Umanesimo e del Rinascimento: c’era un periodo di pace, c’erano risorse economiche, il mecenatismo era di moda, si cercavano i talenti e le persone sentivano l’urgenza di compiere opere importanti, degne di restare. Una situazione che molti governi oggi desiderano ricreare. Per esempio, almeno nelle intenzioni, nei <+corsivo_bandiera>campus<+tondo_bandiera> statunitensi, dove si vive in un ambiente sociale speciale. Svante Lindquist, storico della scienza e della tecnologia, fondatore del Museo Nobel, dice che nelle università le idee migliori vengono chiacchierando in caffetteria, tra docenti e studenti, con i <+corsivo_bandiera>visiting professor<+tondo_bandiera> stranieri, in situazioni informali e davanti a tazzoni di pessimo caffè. E sono anche posti dove biblioteche e laboratori non chiudono alle cinque del pomeriggio». <+nero_bandiera>La scuola è fondamentale...<+tondo_bandiera>«Ovvio. Il fatto che in Italia si sia chiuso il senso della prospettiva futura è dimostrato dai risultati comparativamente ancora oggi scarsi (anche se in lieve miglioramento) che ottengono gli studenti italiani nelle indagini Pisa (Programme for international student assessment) promosse dall’Ocse: siamo sotto la media della Ue. La scuola italiana non è organizzata in modo adeguato. Non è valorizzata per quel che dovrebbe essere: la fucina del domani. Negli anni ’60 la Corea del Sud aveva livelli di vita paragonabili a quelli odierni dell’Afghanistan. In due generazioni è diventata una delle "tigri" asiatiche: i governi lì hanno investito nella scuola, nei docenti e nella scienza».<+nero_bandiera>Anche in Italia abbiamo vissuto qualcosa di simile...<+tondo_bandiera>«Nel secondo dopoguerra, quando, da società contadina e semianalfabeta che eravamo, siamo diventati un paese industriale e alfabetizzato: a tutti, di ogni colore politico, era chiaro che senza adeguata scolarizzazione il paese non sarebbe progredito. Il maestro Manzi in televisione insegnava i rudimenti del sapere a oltre un milione di persone, usando metodi assolutamente innovativi per l’epoca. Oggi la televisione diffonde solo banalità. E veniamo da quasi vent’anni di governi che confondono politica e spettacolo, producono illusioni, cavalcano gli istinti peggiori: la smania di arricchirsi, il desiderio di esibirsi. Tutto senza costrutto né cultura. Ma è importante sapere che abbiamo energie sane: per ogni comandante che abbandona la nave che affonda c’è ancora chi, indignato, gli grida di tornare a bordo».<+nero_bandiera>C’è speranza insomma...<+tondo_bandiera>«Possiamo cambiare. Sappiamo come si fa. Dobbiamo ricordarci che prima dell’avere viene l’essere e che la dignità umana risiede nel desiderio di costruire un futuro migliore, non nell’abbandonarsi alla miseria presente. È tempo di seminare...».