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Protagonisti. Hans Urs von Balthasar, un teologo per il nostro tempo

Mimmo Muolo martedì 9 febbraio 2021

Hans Urs von Balthasar

È nota la predilezione di molti teologi per la grande musica. Perciò non stupisce che nelle sue note autobiografiche Hans Urs von Balthasar scrivesse: «Il contenuto principale dei miei anni prima del ginnasio era la musica (…) Passavo ore senza fine al pianoforte (…) E dal giorno in cui potei abitare (a Vienna) presso Rudolf Allers – medico, filosofo, teologo, traduttore di Anselmo e di Tommaso d’Aquino – suonavamo la sera a quattro mani per lo più un’intera sinfonia di Mahler». L’aneddoto è riferito dall’arcivescovo Rino Fisichella, anch’egli teologo e ora presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, nel libro La bellezza è la prima parola. Rileggendo Hans Urs von Balthasar (San Paolo, pagine 270, euro 25).

Una citazione emblematica del percorso del volume, sia perché richiama l’idea della bellezza, che Fisichella sceglie come filo d’Arianna per guidare i lettori nell’immensa opera di quello che egli stesso definisce «il Tommaso d’Aquino del XX secolo », sia perché proprio “sinfonico” è l’aggettivo che per primo viene in mente per qualificare quell’opera. Si legga a tal proposito quanto scriveva di Balthasar un altro gigante della teologia novecentesca, Henri De Lubac. «L’opera di Balthasar è immensa. E se esiste mai una cultura cristiana, essa si trova in lui. Non c’è nulla di grande che non trovi in questo grande, accoglienza e vitalità». Proprio perché realmente sinfonico è l’elenco dei suoi punti di riferimento, da Claudel, a Peguy a Bernanos, senza naturalmente dimenticare i grandi teologi del ’900 - Barth, Rahner, lo stesso De Lubac - e le due scaturigini dirette del suo pensiero: Erich Przywara e Adrienne von Speyr.

E pensare che von Balthasar, cofondatore della rivista "Communio", non fu invitato al Concilio Vaticano II, pur avendolo precorso per molti aspetti, non ebbe mai una cattedra e da lungo tempo si discute tra gli addetti ai lavori sul carattere sistematico (da molti negato) della sua teologia. Fisichella, che lo ha studiato a fondo e conosciuto personalmente, non ha dubbi: «Il suo pensiero è certo destinato a diventare un “classico” della tradizione teologica, e della nuova sistematica cattolica in modo particolare. Egli è di fatto l’unico teologo cattolico contemporaneo di rilievo che abbia osato la formidabile impresa di una summa teologica». A sostegno della propria tesi l’arcivescovo compone a sua volta una sorta di suite, giocando sulle diverse “ottave” della vita, della personalità e naturalmente dell’opera del pensatore elvetico e coniugando il tutto con una scrittura facilmente accessibile anche al lettore non teologo. Si parte, dunque dai cenni biografici, per indagare poi sul primo e il secondo Balthasar, con lo spartiacque del 1940 quando conosce von Speyr, e soffermarsi infine sulla Trilogia, che è da tutti considerata la grande cattedrale del pensiero balthasariano.

Nato a Lucerna nel 1905, nel 1929 entra nella Compagnia di Gesù, e viene ordinato sacerdote nel 1936. Nel 1944 fonda l’istituto secolare 'La comunità di san Giovanni' e si dedica all’attività di scrittore ed editore. Infine nel 1988 Giovanni Paolo II lo eleva alla dignità cardinalizia. Ma il teologo muore improvvisamente il 26 giugno, due giorni prima del Concistoro. Così Fisichella spiega la differenza tra il primo e il secondo Balthasar. «Il primo è l’uomo dell’universalismo cristiano. Emerge in tutto il suo pensiero l’entusiasmo del giovane teologo che si ritrova investito della missione di estendere al mondo intero l’annuncio del Vangelo. Il dialogo è la parola dominante in questo periodo e gli interlocutori sono certamente Karl Barth per il mondo della Riforma e Martin Buber per l’ebraismo». Il secondo Balthasar «è l’uomo maturo che vede la mancanza di corrispondenza da parte di un mondo che lui sperava entrasse in contatto con la novità cristiana. Per alcuni versi – annota l’autore – mi sembra di rivedere il percorso di Paolo nell’areopago di Atene».

In sostanza il teologo svizzero comprende che «con l’apertura al mondo, con l’aggiornamento, con la dilatazione degli orizzonti, con la traduzione della verità cristiana in un linguaggio e in un pensiero comprensibile al mondo moderno si è soltanto a metà dell’opera ». Il resto deve essere compiuto non rinunciando a ciò che Romano Guardini chiamava «distintivo cristiano ». E Fisichella commenta: «Sottolineare lo specifico del cristianesimo non poteva essere ieri, e non è oggi, un’offesa a quanti non ne condividono il messaggio, piuttosto è un imprescindibile compito a cui non si può rinunciare per la fedeltà al proprio battesimo. Chi è in definitiva von Balthasar? Per Fisichella è «il vertice della cultura del XX secolo». Un autore che con la sua Trilogia ha parlato al mondo del Dio amore: al tempo stesso bellezza che attrae (pulchrum), unità dell’essere (unum), verità (verum) e bontà (bonum). I trascendentali della filosofia spiegati al nostro tempo con un esempio semplice e insieme poetico, quello del bambino «svegliato alla coscienza solo dall’amore, dal sorriso di sua madre». «Nell’amore – scrive Balthasar - egli è unito con sua madre, benché le stia di fronte, dunque ogni essere è uno; questo amore è buono, dunque tutto l’essere è buono; questo amore è vero, dunque tutto l’essere è vero; questo amore suscita gioia, dunque tutto l’essere è bello». Solo l’amore è credibile, dunque, per citare il titolo di una delle sue opere. E questo amore, nel libro di Fisichella, emerge, pagina dopo pagina, quasi fosse, per restare alla metafora musicale, un crescendo rossiniano.