Agorà

Roma. "Avvenire", primo miracolo di Paolo VI

Mimmo Muolo venerdì 30 maggio 2014
​Avvenire? La sua nascita, secondo il Rettore della Lumsa, Giuseppe Dalla Torre, «fu un miracolo di Paolo VI». La sua storia ormai più che quarantacinquennale è, come ha ricordato il segretario generale della Cei e vescovo di Cassano all’Jonio, Nunzio Galantino, «nell’impegno di essere voce qualificata della vita e delle scelte della Chiesa italiana». Il suo valore aggiunto, come ha notato il presidente del quotidiano cattolico, il vescovo di Albano, Marcello Semeraro, nell’aver tradotto giornalisticamente l’ecclesiologia montiniana dell’Ecclesiam suam, ora ripresa e attualizzata da Papa Francesco. Il suo presente e il suo futuro, come ha detto il direttore, Marco Tarquinio, è nell’essere «strumento di dialogo».L’occasione per ricostruire le vicende che portarono all’uscita in edicola il 4 dicembre 1968 (nonostante la convinta opposizione di una parte importante dell’episcopato, come ha raccontato lo storico Francesco Malgeri) è stata la presentazione nell’Aula Magna della Lumsa del volume Paolo VI e Avvenire, una pagina sconosciuta nella storia della Chiesa italiana (Studium), scritto da Eliana Versace. Felice coincidenza anche di date, perché ieri ricorreva l’anniversario di Messa di Papa Montini, il giorno che egli amava di più. E così l’autrice ha anticipato la proposta-auspicio che sia proprio il 29 maggio il giorno della memoria liturgica dell’ormai prossimo beato (la cerimonia è stata fissata da Papa Francesco al 19 ottobre).«Paolo VI e Avvenire – ha ricordato Galantino – sono due riferimenti straordinari per la Chiesa italiana. Basta guardare allo sviluppo del quotidiano per rendersi conto della valenza che esso avuto in questi anni e sempre nel rispetto di quello che un giornale deve essere». Il segretario generale della Cei ha detto di essere «da molti anni un lettore», perché «il quotidiano dei cattolici italiani è sempre stato luogo di confronto di posizioni talvolta diversamente orientate». E non poteva essere diversamente, dato che nel suo dna c’è l’eredità di Paolo VI, «uomo del dialogo». Un’eredità da riprendere, ha aggiunto il vescovo, «specie in un’epoca come la nostra in cui basta dire qualcosa che non va a genio a qualche lobby (anche interna) per ritrovarsi alla gogna».Il dialogo, ha spiegato quindi Semeraro, era visto da Montini come colloquium salutis e annoverato tra le tre vie della Chiesa indicate nell’enciclica programmatica Ecclesiam suam, cui la nascita di Avvenire è direttamente collegata. Il quotidiano unico infatti matura in ambito conciliare, ma ha radici ben più antiche e non è indifferente, ha notato il vescovo di Albano, che Montini fosse figlio di un giornalista. Oggi la sua intuizione è ripresa anche da Francesco, ha ricordato, dato che nella Evangelii Gaudium cita molte volte Paolo VI e parla di «dialogo con gli Stati, dialogo con le culture e dialogo con gli altri credenti» sulla scia del suo predecessore.Una suggestione, quella del dialogo, ripresa anche da Tarquinio che ha notato come «lo stesso nome della testata sia già un programma in cui è contenuto quell’appello, che Paolo VI ci ha fatto, a camminare guardando non all’indietro ma alle sfide del presente e del futuro». Oggi, ha concluso il direttore, Avvenire ha la testa a Milano e il cuore in tutte le regioni italiane, come dimostrano le tante battaglie a favore di realtà del Sud, dimenticate dalla grande stampa». All’incontro erano presenti anche alcuni ex direttori delle testata, come Angelo Paoluzi e Piergiorgio Liverani e la famiglia di Angelo Narducci.