Agorà

IL FILM. Avati: «Vi presento il mio Amarcord sui giovani degli Anni Cinquanta»

Giacomo Vallati martedì 31 marzo 2009
Il «mitico» Bar Margherita, in realtà, non e­siste. O meglio: ne sono esistiti d’innume­revoli. «Erano tutti quei bar di una certa pro­vincia italiana degli anni 50, frequentati da un insieme straordinario di sciocchi 'eroi', il cui at­teggiamento oggi apparirebbe deplorevole ma che allora attraeva moltissimo i giovani. I qua­li cercavano d’imitarli investendovi tutta la pro­pria 'creatività', nel più assoluto disimpegno e nel totale disinteresse degli adulti, sperperan­do così con disinvoltura un’adolescenza spen­sierata ». L’adolescente protagonista che fre­quenta questo Bar Margherita viene chiamato «Coso». Ma potrebbe anche chiamarsi Pupi. «Questa non è esattamente la mia storia; ma non c’è dubbio che anche in questo personag­gio ci sia molto di me ragazzo – confessa Pupi Avati – So­prattutto per quel cinismo mi­sto alla gioiosità che è tipico di una certa adolescenza. E che ha messo insieme una stagio­ne nella vita di quelli della mia generazione». Gli amici del Bar Margherita, insomma – dal 3 aprile in 300 cinema – è il divertito 'amar­cord' del grande regista, a confronto coi 'miti' della pro­pria giovinezza incontrati e ammirati nel bar di via Sara­gozza, tra le vie della Bologna anni 50. Testimone-alter ego di Pupi è «Coso» (cioè Taddeo, interpretato da Pierpaolo Zizzi), un diciottenne che sogna di essere ammesso tra i mitici frequentatori del Bar: il misterioso e carismatico Al (Diego Abatantuono), il fanta­sioso Bep (Neri Marcorè) innamorato dell’en­traineuse Marcella (Laura Chiatti), il cantante Gian (Fabio De Luigi), il ladruncolo sessuofo­bo Manuelo (Luigi Lo Cascio); il tutto sotto il paziente sguardo tollerante della mamma (Ka­tia Ricciarelli) e del nonno (Gianni Cavina), in­namorato della prosperosa maestra di pia­noforte (Luisa Ranieri). «Per raccogliere questo gruppo eterogeneo ho messo insieme ricordi miei e dei miei amici, ri­percorrendoli con sguardo divertito, leggero, collegato a certe mie commedie sentimentali per la tv, come Jazz Band. Ma sempre attraver­so i miei occhi di oggi. Gli amici del Bar Mar­gherita, insomma – spiega Avati – è la storia di un dicottenne. Ma raccontata da un settanten­ne». Al centro del film, fa notare il regista, c’è pro- prio l’«essere giovani» di allora, così diverso dal­l’esserlo oggi. «Dalla metà degli anni 60 i giova­ni sono diventati gli interlocutori numero uno della politica e del commercio. Cinquant’anni fa, invece, i ragazzi vivevano nell’indifferenza to­tale degli adulti, non contavano assolutamen­te nulla. Così potevano compiere errori, biz­zarrie, stravaganze; trovare un’identità, indivi­duare la propria strada. Mentre oggi, apparen­temente messi al centro di tutto, si sentono ri­petere continuamente che non hanno pro­spettive, che per loro non c’è futuro». In un cinema italiano che «al 99,99 per cento parla del presente – considera inoltre il regista – qualcuno dovrà pur fare i conti col passato. Co­sì oggi mi sento un po’ la 'vestale' del tempo che è stato. E il ci confronto coll’oggi può aiu­tarci capire meglio noi stessi».