Agorà

Biennale. L’arte di scolpire il suono

Alessandro Beltrami venerdì 2 ottobre 2015
​L’attacco, la dinamica, l’intensità... Sono molti i parametri che un musicista deve saper gestire per dare vita al suono. Ma Nicola Sani, compositore classe 1961, ha deciso di spostare l’asticella non solo più in là ma soprattutto più all’interno: modellare il suono come fosse la materia di uno scultore, manipolando “in diretta” quel rapporto tra sinusoidi, frequenze e ampiezze che si chiama timbro.
 
 
È la sfida chiesta agli interpreti di Chemical free (?), “concerto multimediale per flauto iperbasso, pianoforte contrabbasso, live electronics, motion capture, regia del suono multicanale, immagini video”, che lunedì debutterà in prima assoluta a Venezia nel cartellone di Biennale Musica. Chemical free (?) è un viaggio dentro la chimica, il tentativo di restituire in musica le dinamiche dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande. La commissione è arrivata tramite il Miur dal dipartimento di Scienze chimiche dell’Università di Padova, che ha fornito la consulenza scientifica: «Mi ha colpito – dice Nicola Sani – come le molecole della grafite e del diamante siano molto simili: basta spostare un piccolo legame tra gli atomi e cambia tutto. Anche il suono cambia profondamente modificando minime componenti al suo interno. Ho pensato allora a un lavoro sulla trasformazione timbrica».
 
 
Questo progetto non lavora come un “calco” di formule chimiche ma per suggestione («Mi ha colpito la solitudine della molecola di acqua nella soluzione zuccherata. Quasi struggente»): si tratta di sondare il mondo nanoscopico del suono come un ricercatore esplora l’architettura delle molecole. «Col computer possiamo manipolare il suono, non è una novità: ma lo si fa sempre dopo averlo prodotto. In Chemical Free (?) questo accade nel momento in cui il suono nasce. Tutto questo grazie all’uso del motion capture, una tecnologia qui per la prima volta applicata in ambito musicale». Il motion capture è normalmente usato al cinema: telecamere speciali rilevano i sensori applicati sul corpo degli attori, il cui movimento è trasformato in un personaggio digitale. «Otto telecamere rilevano un campo tridimensionale al cui interno si muove l’interprete.
 
 
L’esecutore suona il suo strumento. Ma i gesti, rilevati dai sensori, sono istruzioni di modifica dei parametri del suono». I movimenti del musicista modificano direttamente il suono al momento della produzione: «È un suono materico, che viene plasmato attraverso le mani. Lo si scolpisce dall’interno. Nelle periferie del suono c’è una grande possibilità di trovare spazi timbrici». Sani ha approntato due partiture parallele: «Una intonazione tradizionale, la seconda dove sono indicati i movimenti. Ma l’esecutore deve mantenere la sua libertà di interprete».
 
 
La stessa scelta degli strumenti – uno per movimento – è legata alla possibilità di esplorare questi spazi. «Il contrabbasso consente una escursione di registro straordinaria. Il pianoforte invece è un paesaggio. Lavorando direttamente sulle corde riusciamo a utilizzare al meglio il motion capture». L’ultimo è uno strumento inventato pochi anni fa. Il flauto iperbasso ha un tubo lungo oltre 15 metri e la sua nota più grave è sul limite della percezione dell’orecchio umano. «È uno strumento che si addentra nella zona grigia del suono, sulla soglia di ciò che di solito è considerato rumore. È un mondo fatto di oscurità, di suoni combusti, densi di materia. Componenti grezze che di solito vengono espunte dal “bel suono”. Ma è proprio a queste irregolarità che si può meglio “aggrappare” l’elaborazione elettronica».
 
 
La tecnologia è stata approntata dal Centro di sonologia computazionale dell’Università di Padova e il Sound and Music Processing Lab del conservatorio padovano, insieme al maestro dell’elettronica Alvise Vidolin. Sullo sfondo scorrono i video di David Ryan. La struttura dei tre movimenti è data dai testi approntati dallo scienziato Giulio Peruzzi. «Si va dai Greci fino a ricercatori e poeti contemporanei. Ci sono passaggi dai diari di Marie Curie dove colpisce la poesia della quotidianità». Cosa lega musica, arte, poesia, scienza? «La sperimentazione: quello che facciamo non ha un esito certo. Ci accomuna il senso di imprevedibilità».
 
 
Venezia, Biennale
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