Agorà

AMICHEVOLE DI LONDRA. Calcio, rivoluzione all'italiana: facce nuove, vecchi mali

Giulio Peroni mercoledì 11 agosto 2010
In fondo il compito era facile: dare una parvenza di futuro e regalare un sorriso agli italiani malati di “sudafricanismo”. Cesare Prandelli, diciassettesimo ct della nazionale, non ce l’ha fatta. Il suo esordio in uno stadio londinese di periferia non raggiunge il minimo sindacale. La nuova Italia poteva anche non vincere, invece ha perso e quel che è peggio è che non è nemmeno riuscita a solleticare pensieri stupendi in chiave futura. Allegria. Poteva essere altrimenti a due mesi dalla disfatta mondiale in un 2010 senza successi? La nazionale è un puzzle che si assembla nel tempo: Prandelli non ne ha avuto a sufficienza. Molte perplessità ma nessuna bocciatura: l’Italia che non c’è ancora è rimandata a settembre, ai primi impegni di qualificazione all’Europeo. Per ora turiamoci il naso per questa sconfitta di misura, maturata da un colpo di testa di Touré nella ripresa. Cinque debuttanti, tre cagliaritani tra i convocati (mai così tanti dai tempi di Gigi Riva), la folta rappresentanza di juventini passati (Molinaro) e presenti. Questa è la nuova Italia, che di Prandelli ha le scelte e non la sua impronta. Che prandelliana forse non sarà mai, aspettando la carismatica sovrintendenza del trio Baggio-Rivera-Sacchi, il cui impatto è ancora da decifrare. Teorie e innovazione di facciata: non avendo il tempo di plasmare le fondamenta, il ct bresciano ha posato la prima pietra sulla mera convenienza e sul morbido consenso sociale. Dentro i bocciati di Lippi (Amauri e soprattutto Balotelli- Cassano) a furor di popolo, Prandelli ha imboccato la strada della simpatia vagamente sperimentale, che in una piovosa notte d’agosto è la base del marketing azzurro strapazzato dall’ultimo Lippi. Con il modulo alla Mourinho, il 4-2-3-1 che ormai prolifera all’impazzata, l’Italia del nuovo corso ha esploso voglia e positività per una mezzoretta. La valutazione della gara ha detto poco ma è sempre meglio di niente. Per esempio che Balotelli (pericoloso nei calci da fermo, inconsistente su azione) a dispetto della versione interista sa anche sacrificarsi. Che il trio offensivo sa creare in velocità e dalla mediana qualcuno (Palombo) ha già appreso l’arte dello sganciarsi. Che Cassano polarizza il meglio del repertorio azzurro. Che il debuttante Motta a destra sembra più bravo a offendere (palo ad inizio ripresa) che a difendere. In termini assoluti i nostri avversari fanno qualcosa di più. Non sono male le combinazioni Cassano- Palombo- Amauri, il sinistro sibillino di Pepe nella ripresa. Ma vince la scalcagnata Costa D’Avorio, senza l’infortunato Drogba e con un ct trovato in extremis (Zahoui, ex Ascoli primi anni ’80) da spedire in panca al posto di Sven Goran Eriksson. La Costa d’Avorio passa di testa al 55’ con Kolo Toure: l’africano si alza in quota, Chiellini non è impeccabile nella marcatura. Prandelli sostituisce Amauri e Balotelli con Borriello e Quagliarella, poi Rossi per Cassano e Montolivo per Palombo. Cambia tutto e niente. Ma non è serata.