Agorà

Calcio. Albertosi, l'eterno Ricky

Massimiliano Castellani domenica 11 novembre 2018

Ricky Albertosi, classe 1939, ex portiere del Milan e della Nazionale

Per chi è nato negli anni ’60, Ricky Albertosi rappresenta il calcio libero, anarchico, come Luciano Bianciardi che, nella sua Vita agra, si consolava quando il Milan vinceva, e amava l’epica di Manlio Scopigno che fu maestro del portierone di Pontremoli, classe 1939. «Sono nato il 2 novembre, il giorno dei morti... Ma io mi sento più vivo che mai», ride guascone il leggendario Ricky. Lo sguardo è sempre quello: fiero, rapace, di sfida. Il baffo da pistolero dei western all’italiana di Sergio Leone. In campo infatti è stato il buono e il cattivo. «Il brutto però mai...», sorride divertito dal suo buon ritiro di Forte dei Marmi. Villetta familiare con piscina, a due passi dal mare, da dove nei pomeriggi di sole scappa a pescare o a passeggiare solitario, ma mai triste, sulla spiaggia, «quando non mi “alleno” con i due piccoli, Tommaso e Emma, i miei nipotini». Gare di rigori con Tommaso alternate alle sfide a burraco con la moglie Betty, giù nella taverna. Betty, la bella di Cremona, la ragazza che a Milano stregò il bel tenebroso dei pali, il primo n.1 («allora il portiere era riconoscibile, l’1 il titolare, il 12 riserva, magari anche a vita») che, antesignano, lasciò la classica casacca nera nell’armadietto dello spogliatoio per indossare le sgargianti e moderne maglie colorate, «rossa a Cagliari, gialla al Milan ». Ricky il “giocatore di cavalli”: appuntamento fisso all’ippodromo di San Siro in compagnia del fuoriclasse del telegiornalismo sportivo Beppe Viola, sempre a caccia di «rebonza», il malloppo delle scommesse per sbancare. Albertosi cantato «dall’amica Mina» e il più amato dalle italiane degli stadi di allora: debutta a Firenze («in Viola ero il vice di Sarti, un maestro che ho superato... dai e dai gli tolsi il posto»), dopo sbarca a Cagliari «vinsi uno scudetto davvero leggendario, nel 1969-’70 con il mio “fratello”, Gigi Riva». Poi la parabola finale, da “montagne russe”, al Milan con cui, nel 1979, conquista lo scudetto della stella, «avevo 39 anni suonati».

Per il Milan a 40 anni è finito anche a Regina Coeli: arrestato nel 1980, era uno degli imputati del primo scandalo del calcioscommesse.
«Brutta storia quel Lazio-Milan... Mi misero in mezzo per una telefonata in cui chiedevo di farci vincere. Ho pagato solo io, ero il più vecchio, così ho salvato il Milan. Tutta la squadra sapeva, anche Rivera, certo... Ma allora è andata così».

Allora Milan-Juventus era un duello che divideva l’Italia dello sport ben allenata ai dualismi: Bartali-Coppi, Benvenuti- Mazzinghi, Mazzola-Rivera. Quindi Ricky Albertosi-Dino Zoff...
«Ci hanno messo contro dopo il Mondiale di Messico 1970. Mi infortuno agli Europei del ’68, gli unici che abbiamo vinto, e Dino subentra al posto mio e quindi sperava di fare il Mondiale due anni dopo, mentre Valcareggi puntò ancora su Albertosi. Fino a quel momento eravamo amici. Poi sono successi un paio di episodi che hanno cambiato le carte in tavola...».

Il bomber Beppe Savoldi ne La favola del pallone canta: «Albertosi era amico di Zoff». Quell’«era» sottolineava una rottura?
«Sì, è stato nel ’78. Dopo un campionato straordinario giocato con il Milan, Bearzot dice che mi vuole portare al Mundial d’Argentina come 12°. Io gli rispondo: “Vengo, anche solo per portare le valigie”. Sarebbe stato il mio quinto Mondiale: allora c’era solo un portiere, il messicano Antonio Carbajal, che poteva vantare un record del genere. E io ci tenevo tanto... Avevo già i bagagli pronti quando Bearzot mi richiama e mi fa: “Ricky scusa, ma Zoff mi ha detto che se vieni tu come secondo non si sente tranquillo. Mi dispiace”.... Feci buon viso a cattivo gioco, ma dispiaceva più a me. Quella è stata la più grande sconfitta subita in carriera».

Però poi si è rifatto con le critiche feroci allo “Zoff che va a farfalle” al Mundial
’78.
«Quando vidi alla tv i gol che prese da quaranta metri contro l’Olanda e quello sul primo palo con il Brasile sono sbottato. “Io non li avrei mai presi quei gol lì!” dissi furioso alla stampa che mi stuzzicava il giorno dopo l’eliminazione dell’Italia. Quando ci rivedemmo in campo per Juve-Milan andai a salutarlo, ma Zoff mi diede le spalle. Non mi rivolse più la parola per anni... Solo a fine carriera ci siamo rivisti, per caso, in un albergo a Castiglion Fiorentino, lui scendeva dalla camera e io salivo. Un attimo di imbarazzo, poi un abbraccio fra uomini veri che comunque hanno sempre lottato per il bene dell’Italia del calcio. Non ci sentiamo mai, ma la stima reciproca non ha bisogno di parole».

Ora che avete fatto pace, dica la verità: più forte Zoff o Albertosi?
«Ero più forte io. E spiego il perché: ero più completo e spettacolare mentre Dino era più lineare, molto razionale. Se Zoff stava due giorni senza allenarsi – e per la conformazione fisica più grossa doveva lavorare molto più di me – andava in campo teso, e lo vedevi. Io mascheravo tutto, potevo allenarmi solo l’ultimo giorno, poi entravo e giocavo da Dio. E anche quando sbagliavo la prima regola era dire: “Non è mai colpa mia!”».

“Ed io tra di voi”, canta Gigi Buffon... È il portiere italiano più forte di sempre?
«Sarà la storia a dirlo... Il primo Buffon era il mio sosia, spericolato, istintivo. “Portiere vero”, che vuol dire grande senso della posizione, capacità di guidare la difesa, carisma, nessuna paura del pericolo. Tradotto? Io alla Fiorentina mi sono rotto due mignoli, due volte il setto nasale, e ho perso qualche dente. Solo a un “portiere vero” può succedere tutto questo».

Buffon era impossibile portarlo al Milan, dove Albertosi invece avrebbe voluto Mattia Perin che invece ora alla Juve fa il secondo di Szczesny...
«Grandi portieri tutti e due, Perin magari troverà spazio più avanti, adesso il polacco mi pare titolare irremovibile, è tra i migliori del mondo».

E il Gigio Donnarumma rossonero come sta messo nella sua classifica personale?
«In alto. Donnarumma ha grosse qua-lità, con i piedi sa giocare bene, ma ha anche qualche difettuccio su cui deve lavorare se vuole arrivare ad essere il migliore. Se potessi andrei anche adesso a Milanello per allenarlo sulle uscite e i tiri da fuori: a volte commette l’errore di sdraiarsi invece di spingere con quelle gambone che c’ha. Ma è giovane e ha ampi margini di miglioramento. Speriamo, è importante, anche per il futuro della Nazionale».

A proposito, cosa pensa del nuovo corso azzurro di Roberto Mancini?
«Qualche segnale di ripresa si è visto, ma è lo spirito che è cambiato. Una volta in Nazionale andava il migliore in assoluto in quel ruolo, oggi si provano un po’ tutti. E quelli che diventano titolari, spesso al mercoledì in azzurro giocano da 5 e poi alla domenica fanno i fenomeni, e giocano da 10, nella loro squadra di club. Una volta questo non accadeva... per l’Italia davi l’anima».

La “volta” che gli è rimasta in mente di un suo Milan-Juve?
«Quella domenica di quarant’anni fa, a Torino, (5 novembre ’78, ndr). Facemmo un partitone e poi alla fine la Juve ci condannò... gol di Bettega che non mi stava molto simpatico. Però quelli erano campionati in cui c’era più equilibrio, adesso da sette anni in qua non c’è storia. Comandano loro. Guardate Bonucci, viene al Milan da capitano, gioca così e così e se ne va, torna alla Juventus e non sbaglia una partita. Invece di qua arriva Higuain che non è mica quello visto alla Juve, va a corrente alternata ».

Allegri ha vinto uno scudetto al Milan e 4 di fila alla Juventus, Gattuso vivrà mai certe emozioni in rossonero?

«Gattuso se c’entra il 4° posto e riporta il Milan in Champions è già un miracolo. Ha una squadra giovane e diversi buoni giocatori ma se non sfrutta le due punte e soprattutto se gli manca un uomo chiave come Suso allora il Milan diventa una squadra prevedibilissi-ma ».

Il contrario della Juve che ha mille soluzioni, e l’uomo in più, Cristiano Ronaldo.
«Con lui la Juve ha fatto tombola. E il fatto che Ronaldo giochi in Italia va letto come un segno di rinascita generale, forse, come negli anni ’80-’90, i migliori del mondo stanno tornando a scegliere la Serie A».

Il Milan degli americani intanto ha scelto Paolo Maldini come direttore sviluppo strategico area sport.
«Paolo Maldini è una bandiera, ha vinto tutto con il Milan e conosce l’ambiente come pochi altri. Certo, per far tornare la società tra le prime a livello internazionale non bastano gli americani, come prima non bastavano i cinesi. Ci vuole gente che sappia lavorare tanto e bene, come Paolo».

Leggo tra le righe qualche rimpianto per l’era Berlusconi?
«Beh, il Cavaliere è uno che, a livello dirigenziale ha rivoluzionato il Milan e anche il calcio italiano. Magari l’avessi avuto da giocatore a Berlusconi... avrei vinto e guadagnato tanto di più. Se penso che adesso Donnarumma dopo 20 partite strappa un contratto da 6 milioni... Allora io, che ne ho giocate più di 500 tra Serie A e Nazionale?».

Ma per i tifosi dalla memoria lunga Albertosi era e resta una “leggenda”. E i milanisti, sicuramente sono pronti per festeggiarlo a San Siro, magari nel 2019 per gli 80 anni.
«Dai tifosi me lo aspetto, io andavo in campo prima di tutto per divertire loro. Ma il Milan da quando ho smesso non mi ha più cercato. Galliani lo incontravo in spiaggia a Forte dei Marmi, ci siamo sempre fermati al “ciao come va”?... Adesso si è dato al Monza – sorride –. La Fiorentina invece si è già fatta viva, il 26 novembre i Della Valle mi hanno comunicato che mi premieranno a Firenze: sono entrato nella “Hall Fame Viola”. Ho lasciato Firenze nel ’68, ma sapere che dopo cinquant’anni pensano ancora a me, beh... un po’ mi commuove».