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LETTERATURA. Addio a Tabucchi, l’italiano di Lisbona

Alessandro Zaccuri martedì 27 marzo 2012
Le battute, per principio, non bisognerebbe spiegarle. Quella che tempo fa girava su Antonio Tabucchi, però, un minimo di introduzione lo richiede, e già questo basterebbe a testimoniare la complessità dello scrittore morto domenica all’Hospital da Cruz Vermelha di Lisbona (era nato a Pisa il 24 settembre 1943). Prima ancora di esordire come narratore, infatti, Tabucchi si era imposto per la sua esperienza di studioso e docente della letteratura portoghese. Il suo autore di riferimento – al quale si è dedicato per mezzo secolo con una passione ininterrotta, articolata in saggi, curatele e traduzioni – era Fernando Pessoa, la cui poetica, prevede il ricorso continuo alla pratica dell’eteronimo. Non un normale pseudonimo (e cioè un “falso nome”), ma in tutto e per tutto un “altro nome”. Anzi, il nome di un altro. Ogni volta che cambiava firma, Pessoa assumeva i connotati di un alter ego immaginario, mutuandone la biografia, i gusti, i disgusti e, quel che più importa, lo stile. Bene, la battuta che perseguitava Tabucchi era che, a forza di ammirare Pessoa, si fosse convinto di essere uno dei suoi eteronimi. Scriveva, pensava, forse addirittura viveva in una sorta di funzione vicaria rispetto al suo maestro, in un orizzonte letterario in cui finzione e realtà si sovrapponevano in modo inestricabile. Non per questo era diventato un artista maledetto. Al contrario, Tabucchi era a suo agio nel mondo, era un accademico stimato e un uomo cordiale, per quanto la sua mitezza potesse incrinarsi quando si trattava di questioni politiche o di sottigliezze filologiche relative, ancora una volta, all’amato Pessoa (cognome che, alla lettera, significa “persona”). Il suo esordio come narratore risale al 1975, quando Bompiani pubblica la prima edizione di Piazza d’Italia , al quale fanno seguito Il piccolo naviglio (1978), Il gioco del rovescio (1981) e Donna di Porto Pim (1983), libri votati alla forma breve del racconto o della novella, nei quali la ricerca sperimentale sembra farsi sempre più evidente. Alcuni elementi sono in ogni caso da subito riconoscibili: l’interesse di Tabucchi per il tema squisitamente pessoiano dell’identità e della perdita dell’identità, in primo luogo, ma anche un’apertura internazionale decisamente insolita per un autore italiano. Con Notturno indiano , uscito nel 1984 da Sellerio (l’editore che con Feltrinelli più ha contribuito al consolidarsi della reputazione di Tabucchi) arriva il successo in terra francese, prima con la vittoria del “Médicis étranger” e poi con l’omonimo film diretto da Alain Corneau, che accentuava ulteriormente il clima di viaggio iniziatico caratteristico del romanzo. Dai racconti di Piccoli equivoci senza importanza (che nel 1985 segna appunto l’ingresso dell’autore nel catalogo Feltrinelli) ai saggi su Pessoa riordinati in Un baule pieno di gente (1990), Tabucchi conferma in forma sempre più precisa il suo sguardo attento eppure distaccato nei confronti della realtà. Il tentativo di virare in senso visionario ha il momento di massima tensione in un libro più ambizioso che riuscito come Requiem (1992), composto originariamente in portoghese, a ribadire quel processo di immedesimazione nel proprio modello ribadito, un paio di anni dopo, da Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa . Il 1994 è però anzitutto l’anno di Sostiene Pereira, il romanzo al quale più è legata la notorietà di Tabucchi. Portato con successo sullo schermo da Roberto Faenza (il ruolo del protagonista era interpretato da Marcello Mastroianni) e vincitore di numerosi premi, compreso il SuperCampiello, il romanzo è ambientato nella Lisbona del 1938 e mette in scena la ribellione al regime di Salazar da parte di un anziano giornalista mosso non tanto da una convinzione ideologica, quanto piuttosto da un sentimento di umana pietà. Un romanzo che ricorre con abilità agli stratagemmi della prosa d’avanguardia («Sostiene Pereira» è il refrain che contrassegna l’intera narrazione, sin dalla frase d’apertura) e che, nel martirio del giovane idealista Monteiro, rivela una compassione di intensità quasi religiosa. A prevalere è tuttavia il gioco di specchi fra passato e presente, in virtù del quale Tabucchi si accredita come una degli intellettuali più autorevoli e severi della sinistra nella Seconda Repubblica. A un esplicito risentimento civile è ispirato per esempio La testa perduta di Damasceno Monteiro (1997), mentre gli interventi polemici di L’oca al passo (2006) non lasciano dubbi sul pessimismo con cui Tabucchi guarda alla situazione italiana del momento. Nella sua produzione, però, trovano spazio anche momenti di maggior introspezione come Si sta facendo sempre più tardi (2001), Tristano muore (2004) e Il tempo invecchia in fretta (2009). L’ultimo dei suoi titoli è, di nuovo, una raccolta di testi brevi, Racconti con figure, che Sellerio ha mandato in libreria lo scorso anno. Qui Tabucchi si sofferma a meditare sul rapporto strettissimo tra scrittura e pittura, tornando ad aprire quella porta sul mistero che già si era socchiusa in Sogni di sogni (1992). Con Pessoa, era convinto che la letteratura possa essere di per sé una ragionevole risposta all’irragionevolezza del mondo. Soluzione discutibile, ma che Tabucchi ha saputo perseguire con una coerenza spesso sostenuta dall’eleganza.