Agorà

Musica in lutto. Addio Prince, lacrime di porpora

Massimo Gatto venerdì 22 aprile 2016
«My name is Prince and I am funky», cantava Rogers Nelson, Il “principe di Minneapolis” si è spento ieri nella sua città natale a soli 57 anni dopo un’avventura umana e artistica che l’ha reso un re del pop con Michael Jackson, a cui l’accomuna anche la scomparsa improvvisa e prematura (è stato trovato senza vita nella sua casa). Sulle circostanze ancora da accertare la polizia ha avviato un’indagine.Ciò che è certo, è che a lasciarci per sempre è la più eminente personalità, dopo lo stesso “Jacko”, della musica nera degli anni Ottanta. Una delle pochissime popstar accanto a cui l’aggettivo “geniale” non stride come in centinaia di altri casi. Era funky, Prince, ma pure soul, gospel, jazz, rock, assetato di vita e di musica. «È stato un’icona creativa e un artista elettrizzante» così lo ha ricordato anche il presidente americano Barack Obama.Suo padre suonava il piano e la madre cantava swing; insomma un predestinato, come dimostrano i 7 Grammy Award in bacheca. Cantante, musicista, attore, regista e produttore, Mr. Controversy, come lo chiamavano i fans alludendo al titolo di uno dei suoi primi grandi successi, i suoi album decisivi li ha incisi tutti proprio negli anni Ottanta a cominciare da 1999, Purple rain, Around the world in a day, Sign O’ the times, l’introvabile (al tempo) Black album, Lovesexy, la colonna sonora del Batman di Tim Burton, vendendo oltre 100 milioni di copie.Epiche le sue battaglie contro le multinazionali del disco (in particolare l’amata-odiata Warner con cui aveva stipulato un accordo da 100 milioni di dollari) alzando talmente l’asticella della contesa da arrivare a scriversi «slave» (schiavo) sulla faccia o a farsi chiamare dai fans “Victor” o “TAFKAP” (The Artist Formerly Knows As Prince, l’artista un tempo conosciuto come Prince) per scartare di lato quel nome scritto nei contratti e diventato improvvisamente pesante come una catena. Pure alcuni album aveva finito per intitolarli con dei numeri, degli acronimi o semplicemente dei simboli. Poi la pacificazione, con se stesso prima ancora che con gli altri, anche se il momento d’oro della sua carriera era ormai passato, come dimostrato dai numerosi tentativi di rimetterlo in carreggiata - Rave Un2 the Joy Fantastic prodotto da “Re mida” Clive Davis, Musicology o 3121 - operati da una discografia sempre meno disposta ad assecondare i suoi colpi di testa e i suoi capricci. Sesso, droga, megalomania, anarchismo, ma anche un talento puro capace di tenerlo costantemente ai massimi livelli della fama, la sua regola di vita. Imprenditore di se stesso, nel 1985 Prince aveva creato l’etichetta Paisley Park arrivando addirittura a distribuire la sua musica in edicola, come accaduto con l’album Planet earth venduto quale allegato del Mail On Sunday. Con la crescita della Rete, era stato uno dei primi a sbarcare sul web, fino a decidere l’estate scorsa, spiazzando tutto ancora una volta, di togliere l’intero repertorio da ITunes e gli altri negozi online per affidarlo solo a Tidal, la piattaforma lanciata dall’amico rapper e produttore Jay Z. Clamorose le “liason” artistiche dell’idolo di Minneapolis, con Sheila Escovedo Maceo Parker, i Revolution, i New Power Generation, quasi come quelle sentimentali. Dopo Vanity (scomparsa per uno strano disegno del destino proprio tre mesi fa, pure lei a 57 anni), Apollonia, Kim Basinger, Sheena Easton, Mayte Garcia (da cui ebbe un figlio nel 1996: morto dopo pochi giorni), Prince aveva sposato l’italo canadese Manuela Testotini, ma due anni fa era arrivato il divorzio. Forte l’amicizia con Manuela Arcuri, con cui a Praga girò il videoclip di Somewhere here on earth. Tra le grandi incompiute della sua carriera, l’incontro con Miles Davis che l’aveva paragonato addirittura a Duke Ellington e con il quale Prince aveva progettato un disco a due, poi sfumato per la scomparsa del grande trombettista. Col tempo una vita di eccessi aveva però cominciato a presentare il conto.Un campanello d’allarme era suonato appena pochi giorni fa, quando il jet personale del cantante-chitarrista s’era visto costretto all’atterraggio d’emergenza al Quad City International Airport di Moline, piccola città dell’Illinois, per consentire il trasporto urgente in ospedale. Era stato lui stesso la sera dopo, durante un concerto, a tranquillizzare fans e media parlando di un «banale attacco influenzale». Era ancora nel corso di quel tour, voce e piano, che avrebbe dovuto portarlo pure ad esibirsi in live a Milano lo scorso inverno, poi però gli attacchi terroristici di Parigi lo indussero a rivedere i suoi piani e a cancellare l’intero tour europeo.