Agorà

RACCONTI. A Compostela durante la guerra

Franco Cardini giovedì 4 agosto 2011
Nessuno poteva immaginarsi la furia con cui si era scatenata la ribellione; e la rabbia con cui la gente aveva risposto, nelle città e nelle regioni dove il golpe aveva fallito. La notizia che una parte dell’esercito si era ribellata corse come un fulmine per tutta la Spagna e per il resto del mondo già al mattino del 18 luglio di quel maledetto 1936: ma c’era chi sosteneva che tutta la Spagna aveva immediatamente accettato il governo dei generali ribelli e chi invece giurava che si era trattato di un fuoco di paglia e che i principali colpevoli erano già stati puniti. Da lì a due giorni, invece, fu chiaro che il paese era diviso in due e che c’era da aspettarsi una lunga guerra civile. Il padre e la madre di Pablo erano morti da tempo ed entrambi in giovane età. A Pablo, quattordicenne, restava solo l’anzianissima nonna: che però si spense all’alba del 25 luglio, proprio nel giorno della festa dell’apostolo Giacomo. «Va’ a Santiago, bambino mio, va’ a Santiago…», gli aveva ripetuto più volte con voce sempre più flebile la vecchia contadina, prima di chiudere gli occhi: e gli stringeva forte la mano, mentre glielo ripeteva. Quella stretta, Pablo non l’avrebbe mai più dimenticata.Ma non erano certo quelli i tempi, per un ragazzino di quattordici anni, per affrontare i circa cinquecento chilometri che separavano la sua Burgos da Santiago de Compostela lungo il Camino, la "Via Lattea" che passava per León, Astorga, Ponferrada e Lugo. In teoria, si trattava di un’area tutta ben controllata ormai dai nacionales: ma si sapeva che in realtà i nuclei di resistenza repubblicana – o di brigantaggio dei rojos, come dicevano gli altri – erano numerosi; e comunque un ragazzino senza documenti e con pochissimi soldi in tasca non avrebbe mai avuto nessuna possibilità di trascorrere marciando a piedi le almeno due settimane necessarie a toccare la mèta. Del resto, all’ospedale nel quale la nonna era spirata, due solerti suorine avevano già segnalato quel povero orfanello al Servizio Sociale della Falange: e un’arcigna dama in camicia azzurra sotto l’abito bianco da infermiera gli aveva già consegnato una cartolina verde che gli ingiungeva di presentarsi a un orfanotrofio cittadino.Ma a Pablo l’idea di essere avviato a una qualche scuola-riformatorio, non piaceva affatto. Non sapeva nulla di politica, non gli interessavano né i blancos né i rojos: voleva solo restar libero. E sentiva di dover obbedire alla nonna, che per tutta la vita aveva sognato di poter percorrere a piedi il Camino de Santiago e inginocchiarsi alla tomba dell’Apostolo. Aveva in tasca il rosario di legno d’olivo che lei gli aveva dato morendo insieme a pochi spiccioli; cacciò tutto, insieme a un po’ di biancheria e a una vecchia tela impermeabile, dentro a una sacca; e quella sera stessa, stracciata la cartolina verde, aveva preso la strada andando incontro al sole che tramontava, alla volta della Galizia.Camminò tre o quattro giorni, imparando a sue spese i trucchi per non farsi notare; scappò due o tre volte sottraendosi alla vista di gente che lo aveva notato e che lo chiamava (magari solo per offrirgli del cibo o un tetto), nascondendosi di giorno per dormire in fondo a certe fosse o al riparo di fitte macchie d’arbusti. Quando incontrava qualcuno, cercava di assumer l’aria del ragazzino del posto che cercasse erbe da far insalata o funghi se era piovuto da poco. A volte, sentiva da lontano il rombo d’un camion militare o, peggio, il ronzio di una di quelle moto con sidecar con cui si muovevano quelli della guardia civil: e allora era lesto a trovare un posto dove sparire. Ma quel vecchio dallo sguardo torvo eppure lucentissimo – un paio di penetranti occhi azzurri sotto folte sopracciglia, la barba ispida e folta, l’andamento zoppicante dell’anziano montanaro – lo scovò comunque, a Castrojeriz, sulla riva sinistra della Pisuerga che va poi a sfociare nel Duero. «Ti nascondi, eh?», lo apostrofò con una voce allegra che gli fece ancor più paura che se fosse stata minacciosa.Non aveva scelta. Del resto aveva capito che così, solo, senza soldi e senza documenti, non avrebbe retto a lungo; e poi i vecchi tozzi di pane e di cacio stavano finendo e lo stomaco gli cominciava a far male per la fame. Accompagnarsi con un adulto avrebbe significato poter farsi accogliere da qualcuno di quegli alloggi per i pellegrini che erano rimasti aperti nonostante la guerra: anzi, che il nuovo governo si sforzava di far riaprire per mostrar a tutti che le cose stavano tornando alla normalità.Eppure non gli piaceva, quel vecchio. Certo, era stato subito attratto dalla sua capiente bisaccia dalla quale spuntavano invitanti una fiasca e un osso di prosciutto. Ma lo mettevano a disagio la sua assoluta mancanza di curiosità – non gli aveva mai chiesto chi fosse, da dove venisse, perché così giovane (anzi, così piccolo) si trovasse solo – unita al suo disprezzo. Aveva riso del rosario di legno della nonna e del suo voto di pellegrinaggio: eppure, aveva dichiarato di esser diretto là anche lui. Diceva di non essere andato mai a scuola, eppure affermava – letteralmente – di essere «sapientissimo»: e in effetti gli capitava di spiegargli molto spesso cose che riguardavano gli alberi, le piante commestibili o no, il corso delle stelle che li orientavano durante le ore notturne del cammino. Non amava la gente, il vecchio: pure, sembrava si divertisse un mondo a prender in giro chiunque incontravano per strada o nei paesi che attraversavano. Con lui, sbarcar il lunario anche senza un soldo era diventato semplicissimo: aveva una destrezza straordinaria nel rubare frutta e ortaggi, sapeva sempre come procurarsi del pane o una zuppa calda (a parte quelle dei rari alloggi per pellegrini); riusciva perfino a ottenere un po’ di rancio dai reparti miliari che s’incontravano per strada. Di solito, nessuno gli chiedeva documenti: del resto, il vecchio gli aveva spiegato che bisognava evitare con attenzione quelli della guardia civil con le loro uniformi grigioverdi, e che era bene tenersi alla larga anche dalla camicie azzurre dei falangisti e dai berretti baschi color rosso fuoco dei carlistas, i miliziani monarchici; mentre i soldati regolari, con le loro divise kaki, in fondo erano bravi ragazzi, distribuivano volentieri il loro pane nero e le loro pessime sigarette (il vecchio cercò invano d’inculcare a Pablo il vizio del fumo). A ogni modo, quando c’era da trattare, il vecchiaccio preferiva sciorinare la sua parlantina lontano dal ragazzo, al quale ingiungeva di sedere da qualche parte e aspettarlo con pazienza. Erano straordinarie le sue doti, quanto a chiacchiere e a bugie. Trovava sempre anche vino o acquavite: e insisteva perché Pablo ne bevesse a sua volta, rimproverandolo perché non si divertiva ad ascoltare le storie oscene o le canzonacce da osteria con le quali egli si ostinava a volerlo divertire dopo quelle cene frugali. «Tu non rispetti nulla – lo rimproverava a volte il ragazzo –: ma non credi nemmeno in Dio?». Allora si faceva serio. «Non c’è motivo di credere o no in Dio – rispondeva –. Lui c’è. Punto e basta»; «E non lo ami? Non lo temi?"; «Certo che mi fa paura. Ma amarlo, questo no»; «Perché non lo conosci…»; «O perché lo conosco troppo, stupido che sei...».Arrivarono a Santiago: avevano percorso in quasi un mese quei cinquecento chilometri. Era un fine agosto umido e afoso, bagnato di pioggia come sempre. Era passata da poco la grande festa dell’Apostolo, il 25 luglio: e il generalissimo Franco teneva a mostrare la gratitudine della Spagna cristiana nei confronti di chi già l’aveva difesa, mille anni prima, apparendo miracolosamente tutto armato in battaglia contro i mori e sbaragliandoli. Bandiere bandiere bandiere: quelle giallo-rosse della Spagna nazionale, quelle rosso-nere falangiste, quelle bianco-rosse dei tradizionalisti carlisti. La città era piena di pellegrini provenienti dalle regioni in mano ai nacionales, di preti, di frati, di soldati, d’infermiere, di miliziani in camicia azzurra o in basco rosso.Presso la Porta della Gloria, il vecchio si arrestò e con una spinta si congedò dal ragazzo, accennandogli la statua dell’Apostolo che vegliava all’ingresso del santuario. «Diglielo, che ti ho guidato bene», lo apostrofò beffardo.Pablo s’inginocchiò e abbracciò lo stipite di pietra dell’Apostolo, baciandone i piedi scolpiti. Stette a lungo in silenzio, la fronte posata sul freddo di quella pietra grigia levigata dalle mani dei pellegrini. Pregò per la nonna, per i genitori che non ricordava quasi più, per tutti gli orfani come lui, per la sua povera Spagna e per tutti i suoi fratelli che si stavano ammazzando, per i bianchi e per i rossi, per i nazionali e per i repubblicani, per i comunisti e per i falangisti. Pregò anche per il vecchio. Ma quando alzò lo sguardo e si guardò intorno cercandolo, quello era scomparso. Lo cercò a lungo, affannosamente, chiamandolo ad alta voce: solo allora si accorse che non sapeva il suo nome e che non aveva mai provato a chiederglielo. Lo aveva sempre chiamato così: viejo. Lo gridò in lungo e in largo, disperato: la gente lo guardava stupita. Poi, si rassegnò: a testa bassa, tornò sui suoi passi. Entrò nel santuario e cercò un prete cui raccontare la sua storia e a cui parlare della sua condizione. E chiedere un po’ di pane, un tetto, qualche straccio pulito da indossare. Pablo è morto nel 2011, Anno Santo Compostellano: quasi novantenne, dopo aver vissuto settantacinque anni come sacrista del santuario, senza mai muoversi da lì, senza sposarsi. Dicono sia morto ai primi di luglio, di crepacuore per il furto sacrilego che era stato compiuto nella cattedrale, il furto del codice detto Liber Calixtinus. Era sempre vissuto in Santiago. Ma per molti anni si era ripromesso di partire, un giorno, alla ricerca di quel vecchio; e ne aveva domandato a molti pellegrini. Qualcuno gli aveva risposto vagamente di ricordarsi di un tipo del genere.Sulla facciata meridionale della chiesa di San Juan a Castrojeriz, a metà strada circa tra Burgos e León sul  Camino de Santiago, campeggia un rosone a forma di pentacolo rovesciato: che – a meno che non ci si trovi dinanzi a qualche «scherzo» di un architetto esoterista – non ha alcun valore né magico, né diabolico, né anticristico. Così dice il parroco e così assicurano i molti dotti studiosi che frequentano il Camino.Eppure, la gente del posto assicura a mezza voce che quel rosone l’ha costruito il diavolo; e che spesso, nei pressi della chiesa, si aggira un vecchio viandante dagli occhi azzurri come zaffiri, che zoppica un poco.