Agorà

Storia. 1917 la rivoluzione non è solo russa

Roberto Festorazzi martedì 3 gennaio 2017

Il 1917, di cui ci avviamo a celebrare il centenario, fu un anno spartiacque, non soltanto nello sviluppo della Grande guerra, ma anche per gli eventi capitali che vi si svolsero e che ebbero un’influenza determinante su tutto il corso del Ventesimo secolo. Nel 1917, si determinò, per cominciare, l’intreccio tra la “lunga rivoluzione” russa – quella che scoppiò nel febbraio (marzo, per il nostro calendario) fondandosi su premesse repubblicane e costituzionali e terminò con l’assalto finale di ottobre e l’instaurazione del regime dei Soviet –, e l’impasse della condotta bellica dell’Intesa. Soltanto l’entrata in guerra degli Stati Uniti, nell’aprile del ’17, contribuì, in modo decisivo, a risollevare le sorti del conflitto, per l’alleanza italo-franco-britannica, rimasta inchiodata alle proprie posizioni sui vari fronti, con i rispettivi paesi ormai prossimi al collasso politico e morale.

E, per gli Usa, si trattò di un passo, quello della discesa sui campi di battaglia, che segnò un punto di discontinuità rispetto al proprio passato isolazionista. L’intervento nella contesa europea, infatti, produsse un mutamento di prospettive, destinato a inaugurare quel “secolo americano” i cui effetti permangono tuttora sulla scena mondiale. Sebbene, negli anni Venti e Trenta del Novecento, gli Stati Uniti, dilaniati dalla più spaventosa crisi economica dell’era contemporanea, tornarono provvisoriamente all’isolazionismo, l’insorgere di una nuova minaccia, il militarismo nazionalsocialista, trascinò la giovane nazione fondata dai padri pellegrini in una seconda avventura bellica che allargò i confini e gli orizzonti della politica dei governanti di Washington. Con l’intervento degli Usa, la guerra divenne “mondiale”. Grazie alle imponenti risorse che l’America del presidente Wilson mise a disposizione della coalizione antitedesca, con uno sforzo finanziario e industriale senza precedenti, gli imperi centrali finirono per trovarsi neutralizzati da una controffensiva, che fu, prima che militare, politica e morale.

Fiaccate infatti dalla guerra sottomarina scatenata dalla Germania, le potenze democratiche dell’Intesa erano state investite, in quel fatale 1917, da fenomeni di disgregazione che minarono la tenuta dei combattenti al fronte e la saldezza complessiva delle nazioni, riducendo drasticamente la capacità di resistenza della popolazione civile. I vertici militari italiani, in testa il generale Luigi Cadorna, tentarono di reagire a tale flessione, lanciando veementi accuse contro i socialisti e i pacifisti di varie tendenze, bollati come “disfattisti”. Le diserzioni di massa raggiunsero la cifra imponente di 50mila unità e, tra i più gravi episodi di ammutinamento, si registrarono quelli avvenuti, a giugno del ’17, all’interno della Brigata Catanzaro, e, a marzo, tra le fila della Brigata Ravenna.

Le cose non andarono meglio in Francia, dove i moti di indisciplina dilagarono in 16 differenti Corpi d’armata, causando vere e proprie decimazioni dentro gli organici di truppa. Per questa ragione, le autorità militari e politiche di Parigi reagirono con il pugno di ferro, decretando un alto numero di condanne alla fucilazione, per i disertori: 600, tutte eseguite. Sul fronte interno, l’Italia del Nord venne attraversata da tumulti, per la carestia che ridusse alla fame la popolazione.Le agitazioni videro le donne in primo piano, a maggio, a Milano, nelle proteste contro il carovita, mentre il 22 agosto, a Torino, scoppiò una sommossa operaia che si trasformò in aperta ribellione contro la guerra. La disfatta di Caporetto, tra ottobre e novembre, fu certamente provocata dalle gravi carenze degli alti comandi del nostro esercito: ma nondimeno risulta imputabile anche a un fallimento politico più generale.

La débâcle di Caporetto causò all’Italia immani perdite: 11 mila morti, 29 mila feriti, 280mila prigionieri. Un bilancio tragico cui si deve aggiungere la fuga di 350mila soldati dalle linee abbandonate, ai quali si sommarono 400mila profughi civili costretti a lasciare le loro case. Con la Germania impegnata ad agire per sottrarre la Russia all’impegno bellico, al punto da condurre una collusione con i capi rivoluzionari bolscevichi, spettò alla Gran Bretagna compiere il maggiore sforzo per puntellare gli altri paesi dell’Intesa che parevano franare. I servizi segreti del Regno Unito, si misero all’opera per impedire che l’Italia, sotto la spinta del papato e del Partito socialista, potesse sganciarsi dal conflitto prima che fosse conseguita la vittoria finale con il totale annientamento del nemico austrotedesco. Fin dall’immediato dopo-Capo-retto, Samuel Hoare, eminenza grigia del Military Intelligence 5 ed esponente del Partito conservatore inglese, inviato nella Penisola come capo-missione, si mise all’opera per rinsaldare lo spirito pubblico gravemente prostrato dai rovesci militari.

Con notevole fiuto, questi individuò in Benito Mussolini un efficace opinion leader in grado di influenzare ampi strati della società. Trasfuga dal Partito socialista fin dall’autunno del 1914, il futuro Duce aveva fondato un proprio giornale, Il Popolo d’Italia, grazie ai generosi finanziamenti francesi, inglesi e probabilmente anche russi. Risulta assodato che Mussolini, nell’ultimo anno di guerra, fosse stipendiato, con 100 sterline mensili, dal Military Intelligence. Ma l’aiuto di Londra risultò ben più articolato. In qualità di uomo politico britannico, Hoare si dedicò a presenziare a un’enorme quantità di iniziative di “propaganda bellica” che l’Associazione dei mutilati di guerra, fondata dal futuro Duce, cominciò a promuovere in tutto il Paese per porre argini al cedimento dell’opinione pubblica. Grazie ai denari inglesi, e alla mobilitazione di cinquemila mutilati, si organizzarono così migliaia di comizi, che vedevano l’assidua partecipazione dei fratelli Peppino ed Ezio Garibaldi, nipoti dell’Eroe dei due Mondi. Tutto ciò, contribuì a compiere il miracolo di una “riscossa”, i cui effetti si sarebbero potuti vedere, nel volgere di pochi mesi, con l’offensiva culminata nella vittoria italiana di fine ottobre del 1918.