domenica 6 gennaio 2013
Milano, 1984 – Il mestiere di cronista, per strada, tra la gente, è bellissimo. Se poi hai vent'anni, è un mondo che ti si svela, diverso, ogni giorno. Le portinaie nelle guardiole delle case borghesi, che sanno tutto di tutti, ma che bisogna conquistarsi. E, dopo un delitto, le facce attonite dei negozianti; e i passanti, che domandano che è successo e poi: «Era uno spacciatore? Bene, uno di meno». (Ma quel morto a terra era un ragazzo, e sua madre fra poco lancerà un grido straziato, in un palazzo di periferia, di quelli grigi e già sfatti).Come quello dove sono andata oggi, in via Forze Armate. Un falso allarme. Ma uscendo, in cortile, incontro una bambina. Piccola, sui 5 anni, grandi occhi neri e i capelli completamente rasati, a debellare i pidocchi. Mi guarda e sorride, furba, stringendo un pugno come se dentro avesse un tesoro. Sorrido anch'io. «Cos'hai, lì?» le chiedo. Lei ride, si schermisce, come esitando a rivelare un grande segreto. Poi apre il pugno, trionfante: il tesoro è un ovetto di cioccolato, mezzo fuso.Sotto a un cielo grigio, in un cortile triste, quel sorriso raggiante. Non so perché mi viene da pensare a un Dio, in cui ancora non credo. E che però, se c'è, è qui accanto, e guarda incantato una bambina coi pidocchi, a Milano, in via Forze Armate.
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